Maranzana, il vecchio pirata della scena

L’attore, che affiancò Cervi nel «Maigret» televisivo, porta sul palco «La mostra» di Magris con Herlitzka

Miriam D’Ambrosio

Cinquantatré anni di palcoscenico, energia da vendere, fermento perpetuo. Un volto da filosofo e sguardo vivace, da «vecchio pirata della scena», come dice lui.
Mario Maranzana è arrivato a Milano, al Crt Teatro dell'Arte (da stasera fino a domenica 26 febbraio) con La mostra di Claudio Magris, regia di Antonio Calenda.
Si tratta della storia di Vito Timmel, pittore austriaco allievo di Klimt (che in scena è Roberto Herlitzka), morto in manicomio, evocato dalla memoria degli amici, da parole e suoni, in un linguaggio oscillante tra duro e sublime.
«A Roma è stato un grandissimo successo, chissà cosa avverrà a Milano. Queste due città sono veri “poli sbilenchi” - dice Maranzana - lo spettacolo è di grande livello, scritto da un saggista non da un teatrante. Ma noi, regista e attori, abbiamo portato il nostro artigianato a far da levatrice. Riprendiamo La mostra a tre anni dal debutto triestino e oggi è un lavoro più elaborato, qualcosa di familiare».
Qual è il suo ruolo accanto a Herlitzka-Timmel?
«Sono il suo amico Cesare Sofianopulo. Tutto inizia quando il pittore è stato appena sepolto. Lui vede i suoi amici ma loro non vedono lui. Il morto vede i vivi che hanno lo strumento della memoria. E la memoria produce vita, rievoca con un sottofondo di filastrocche cariche di sentimento. C'è un'atmosfera di tragica operetta che per noi triestini è l'espressione teatrale più diretta, un'allegria tragica che dà il ritmo alla narrazione di Magris simile a un valzer».
Lei scrive, recita, canta, balla... di recente, per l'anniversario di Mozart ha scritto una commedia...
«Sì, è una commedia musicale chiamata All'ombra di Mozart - le avventure di Lorenzo Da Ponte, che era suo librettista. Un genio ebreo-veneto. Ho intenzione di riprenderla per un altro progetto da creare: una Mostra d'arte teatrale che abbracci tutti i “Comuni di Comune storia”, cioè quelle città come Trieste che hanno subito una perdita di nazionalità. E voglio viaggiare in questi luoghi insegnando l'italiano del teatro, un corso sui testi teatrali, sulla nostra lingua scritta per essere parlata».
Ci sono degli attori oggi, in Italia, che lei apprezza particolarmente?
«Io sono nato nel teatro quando esistevano attori fenomenali, custodi della tradizione che significa rinnovamento non stasi. Credo che le novità migliori di questi anni siano venute dai comici, personaggi come Benigni, Verdone e Troisi. Eredi in qualche modo della maschera tragica di Petrolini».
Lei che ha conosciuto anche il successo televisivo con «Le inchieste del commissario Maigret» accanto a Gino Cervi, cosa pensa della fiction nostrana?
«Oggi gli autori validi sono pochi, c'è banalità e una maggioranza di “sussurranti della tv”, gente che recita così, dicendo frasi che non sono certo quelle di Simenon, autore grande a prescindere dal suo Maigret. Fu Diego Fabbri a fare la trasposizione televisiva dei suoi scritti, il regista era Mario Landi, Andrea Camilleri era tra gli organizzatori.

Cervi fu un compagno di lavoro magnifico insieme ad Andreina Pagnani. E Lucas, il mio personaggio, poliziotto onesto di mediocre intelligenza, era il subalterno che nutre dedizione totale verso il capo. Io accentuai molto quell'aspetto, ripetendo i gesti di Cervi».

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