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La marcia di riconciliazione fa flop Le bande non vogliono la tregua

La manifestazione della pace indetta ieri pomeriggio per riconciliare le comunità sudamericane e nordafricane dopo i fatti di sabato scorso, si consuma nell’indifferenza più totale. Di cittadini, immigrati, italiani e stranieri che disertano il corteo e sembrano non essere minimamente interessati ad un gesto di riconciliazione. Ce ne saranno una cinquantina non di più di partecipanti a sfilare lungo la via Padova sotto una pioggia battente che annacqua slogan e stinge le scritte dei loro cartelloni. Di sudamericani nemmeno l’ombra. Mentre intorno si respira solo il fastidio di un’iniziativa così, con il traffico che si paralizza nell’ora di punta. E gli abitanti esasperati che hanno soltanto voglia che questa storia finisca, il prima possibile. «Se fosse rimasto a casa sua, tutto questo non sarebbe successo», sbotta una signora con un accento meridionale. I rappresentanti delle due comunità implicate in quella terribile guerriglia e nell’omicidio del 19enne egiziano, ci provano a dire che loro sono per l’integrazione, forse più per dovere che per convinzione. Il presidente della comunità peruviana in Italia e quello della comunità egiziana depongono una corona di fiori proprio davanti al civico 80, il luogo dove Abdel Aziz El Sayed è stato pugnalato al cuore e poi chiedono una preghiera ognuno rivolgendosi al proprio Dio. «Siamo qui per dimostrare che tra la nostra comunità e quella egiziana non ci sono problemi - dice il sudamericano Roberto Reyes davanti ai microfoni delle telecamere -. Sono andato personalmente al consolato egiziano per esprimere le condoglianze. Noi come peruviani ci siamo impegnati a fare una raccolta fondi per aiutare la famiglia del ragazzo in patria». Vorrebbero organizzare un torneo di calcio per mettere insieme qualche soldo da mandare in Egitto. Dove oggi dovrebbe essere già arrivata la salma del ragazzo, mentre i funerali in città - dicono i ben informati - si sono svolti ieri mattina in forma assolutamente privata.
Poi è la volta del nordafricano che ripete che quanto accaduto sabato sera, quando un gruppo di suoi connazionali hanno devastato via Padova, distruggendo auto e negozi, è stato un caso isolato. Umano, prima di tutto. «Chiediamo scusa sì, ma i ragazzi erano sotto choc - dice Hassam Badaui. Hanno fatto un errore, ma non è stato fatto apposta perché sono cattivi. Hanno ammazzato un loro amico e loro hanno perso la testa». Quindi il gesto simbolico di entrare in uno, due negozi per chiedere scusa ai commercianti per aver assistito a quello spettacolo. E però, le vetrine dei sudamericani sono tutte nell’altra direzione, in fondo a via Padova, e non qui dove stanno sfilando gli egiziani. Lungo la marcia arrivano anche i militanti della Sinistra ecologia e Libertà. «Siamo qui per dire no all’espulsione e ai rastrellamenti casa per casa - spiega la capolista della Sel alle regionali, Chiara Cremonesi -. Ma per chiedere le dimissioni casa per casa di chi non si è preso le responsabilità in tutti questi anni e non ha investito in sicurezza e integrazione». Ma siamo sicuri che gli stranieri la vogliano davvero? Sui muri del parco Trotter, proprio dove i genitori della «Scuola del Sole» stanno facendo un’assemblea per chiedere che il Comune non mandi soltanto, l’esercito, ma anche soldi, risorse per promuovere l’integrazione e creare spazi di incontro e socialità, i sudamericani hanno lasciato della scritte che suonano come un avvertimento: «Latin dangers». Il corteo continua, la pioggia pure. Si marcia fino al centro culturale islamico di via Padova dove i fedeli e quei pochi sudamericani che ci sono, entrano per pregare. «È l’ultimo saluto ad Abdel Aziz prima che il corpo faccia il suo viaggio».

Dall’altro capo di via Padova, un gruppo di militanti della Fiamma Tricolore urla ai megafoni di restituire «l’Italia agli italiani». Sono cinque, si contano sulle dita di una mano, eppure la polizia locale ha preferito chiudere un accesso alla metropolitana per questioni di sicurezza. Sono le sette di sera, e la manifestazione è finita. Per fortuna.

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