MAZZINI La «giovine» Londra di un italiano

La povertà, gli ideali, la solitudine. E l’Inghilterra liberale vissuta attraverso il rapporto con Carlyle e la moglie Jane

Stenio Solinas

nostro inviato a Londra
Com’era l’Inghilterra di Mazzini? Chi visiti l’abitazione di Thomas Carlyle in Cheyne Row a Chelsea, l’unico ambiente londinese ancor oggi perfettamente conservato in cui fu di casa il patriota italiano, ne ricaverà una sensazione di spartana austerità: un camino, alcune poltrone in una spaziosa drawing room altrimenti vuota. Nel 1837 Carlyle non era ancora quel monumento vivente che anni dopo sarebbe diventato, mentre Mazzini, poco più che trentenne, la prigione, l’esilio, la cospirazione come una sorta di bagaglio a mano sempre con sé, era già Mazzini.
I due erano fatti per stimarsi, ma non per capirsi. «Mi stancava il suo incoerente giacobinismo e georgesandismo» dirà il primo. «Sincera come acciaio la sua parola, puro e limpido come acqua il suo pensiero, un po’ lirico per natura. Fin dalla prima conversazione le sue opinioni mi parvero incredibili e (tragicamente e comicamente) impraticabili in questo mondo». Quanto al secondo, lo infastidiva un superomismo ideale a cui mancava ogni dimensione di sacralità. «È collocato senza guida o speranza fra l’individuo e l’infinito, condannato ad attingere, nell’immenso contrasto, pietà dalla contemplazione del primo, terrore da quella del secondo».
Fra i due, per la verità, c’era anche la presenza ingombrante di una terza persona, Jane Carlyle, la moglie dello storico. Se al marito Mazzini era sembrato «una piccola figura ligure, secca ma solida: non ho mai incontrato un uomo piccolo tanto bello», a Jane l’esule, più semplicemente, apparve «bello tanto da abbagliare». Nell’esaltazione femminile con la quale fece di un’amicizia sentimentale una sorta di surrogato dell’amore, c’è molto dell’Inghilterra prude e già vittoriana della prima metà dell’Ottocento e del resto, nel giro di pasionarie che in quegli anni dedicarono la loro anima all’esule fingendo di farlo per la causa, la signora Carlyle non è che la prima di una lunga serie.
Se Mazzini avesse voluto, probabilmente il patatrac ci sarebbe stato. Thomas corteggiava Lady Ashburton e l’idea di avere l’italiano come cavalier servente della moglie era per quest’ultima come un tacito invito: «Poiché lui andava per la sua strada, si sentì in dovere di lasciare andare me per la mia. Così, ora capirai come due cose vadano insieme: Lady Ashburton fa l’amore con mio marito e Mazzini ascolta con me le conferenze di Mr Fox sulle leggi agrarie». Era pronta a lasciarlo, insomma, e ci volle una lettera proprio di Mazzini, che del marito si riteneva un amico e della moglie niente più che un «fratello», per non farle fare il grande passo: «È il migliore sempre nelle ore del bisogno» commentò lei malinconicamente. Ha un potere di identificarsi con chi ama - per lo meno nei loro dolori, ch’io non ho mai visto eguagliato».
Relegata dolcemente ma fermamente al ruolo sororale, Jane Carlyle avrebbe anche potuto farsene una ragione se di quel ruolo, appunto, fosse stata l’unica depositaria. Ma nel decennio e passa di costante permanenza londinese il numero di pasionarie mazziniane, lo abbiamo detto, si fece legione e questo per lei era insopportabile. «Una Miss Eliza Ashurst che fa cose strane fece per prima la sua conoscenza andando a casa sua a bere il tè, con lui solo ecc. ecc.! e quando lo ebbe in casa sua (di lei), lo presentò in innumerevoli altre case del suo parentado, e le donne dipingono il suo ritratto, gli mandano fiori e lavorano pel suo bazar, e scrivon dei versi su di lui - e Dio sa che altro - mentre gli uomini danno capitali per le Istituzioni e adottano a suo comando le nuove idee». Più che una sorella delusa, una donna gelosa.
Dall’amore all’odio, si sa, lo scarto è lieve e passa prima per un affettato disinteresse: «O i miei sentimenti si sono raffreddati di molto con gli anni e con le sofferenze - o lui li ha distrutti». Poi per una condanna senza appello: «Il suo carattere era rovinato da uno spirito intrigante. Cercava sempre il vantaggio che poteva trarre da ogni avvenimento... vantaggio per la sua causa, ma con metodi che un uomo simile dovrebbe disdegnare». Il povero Pippo, come Mazzini veniva chiamato in famiglia, avrà alzato gli occhi al cielo.
Il rapporto Carlyle-Mazzini è importante per almeno due motivi. Da un lato rivela, grazie alle lettere e alle memorie della coppia, l’impressione che un italiano così particolare faceva su due perfetti rappresentanti dell’Inghilterra liberale dell’epoca e quindi, di riflesso, sulla società britannica. L’inglese di Mazzini era pieno di curiosi italianismi e da qui derivava un modo di parlare e di costruire le frasi che appariva pittoresco e su cui era lecito ironizzare senza malizia, data la passione che lì si prova per chi ne storpia orgogliosamente la lingua. Lo stesso aspetto fisico, i baffi prima, in seguito anche la barba, suscitavano l’iniziale riprovazione di un ambiente che solo nel volto glabro vedeva rispecchiato il decoro: «Se giudicano della capacità intellettuale dalle barbe, peggio per loro» commenterà secco il nostro.
C’erano poi le considerazioni legate ai tentativi di un esule di doversi guadagnare da vivere. Il lavoro intellettuale era pagato poco e male, come lo stesso Carlyle aveva potuto verificare all’inizio della sua carriera, e lo stile di Mazzini, già complesso in italiano, affidato a traduttori inesperti si trasformava in un «mistero di teutonismo, un enigma». Così Mazzini si darà senza successo al commercio di olio e a quello di mobili, finirà spesso e volentieri in mano agli usurai... I coniugi Carlyle registrano un cambio continuo di indirizzi, George Street, Clarendon Square, e si fanno garanti per quello di Queen’Square, al numero 47 di Devonshire Street, da loro non lontano, che diverrà poi famoso per i motivi che vedremo.
Nei due anni che passano dal primo incontro del 1837 alla frequentazione vera e propria, Mazzini è un uomo solo: i fratelli Ruffini con cui ha condiviso l’esilio e per suggerimento dei quali ha scelto Londra come destinazione, presto lo abbandonano, i vecchi esuli dei moti carbonari del ’20-21 non vogliono saperne di lui, perché hanno paura che li inguai o perché ricorda loro ideali ormai abbandonati, le idee di eguaglianza per cui si batte gli sembrano per l’animo inglese «una realtà per un piccolo numero di privilegiati, una delusione, una parola vuota di senso per la grande maggioranza. ...Io posso, per vivere, lavorare, anche ingratamente, da mane a sera, ma non posso rifondermi, non posso buffoneggiare, quando sono triste; non posso e non voglio prostituire il mio Paese alle noie di questi isolani».
Di «un’isola senza sole e senza musica» (nel concerto di Marco Battaglia, che ieri sera ha inaugurato l’odierna due giorni mazziniana, il Maestro ha suonato con una chitarra ottocentesca appartenuta allo stesso Mazzini brani di Giuliani, Pacini, Rossini, Regondi, Legnani: autori che sono alla base della «filosofia della musica» di Mazzini, ovvero suono, affetti e emozione), gli piace solo la nebbia: non il cibo, non la prosaicità della vita che alle fedi preferisce le certezze. Pazienza, lui non cambia di una virgola il suo modo d’essere. Alla fine quest’uomo che non può prendere una carrozza né comprarsi un abito per presentarsi in società, e che spesso non ha i soldi per mangiare, ma che si dà da fare per creare la Scuola gratuita per i bambini italiani riesce a imporsi proprio perché rimane com’è. Vengono in mente le ironiche riflessioni di Alessandro Herzen: «Nelle loro relazioni con gli stranieri gl’Inglesi sono capricciosi. Si gettano sul nuovo arrivato come un attore o un acrobata, non gli danno pace ma nascondono male il sentimento della loro superiorità e financo una specie di ribrezzo per lui. Se il nuovo arrivato conserva il suo modo di vestire e la sua pettinatura, il suo cappello, l’Inglese oltraggiato si scosta con disprezzo, ma poco a poco si abitua a vedere in lui una persona originale. Se lo straniero, impaurito all’inizio incomincia a uniformarsi ai suoi modi, l’Inglese non lo rispetta e lo tratta con degnazione, dall’alto della sua superbia britannica».
L’altro motivo per cui il rapporto Mazzini-Carlyle è importante non riguarda le dimensioni psicologiche di un sodalizio, ma affonda in uno degli elementi cardine della vita pubblica inglese; la privacy. Nel 1844, infatti, Mazzini, straniero e esule politico, ebbe la propria posta messa sotto sorveglianza dal governo britannico, dietro istigazione di quello austriaco. Aperte da solerti quanto pasticcioni funzionari, le lettere venivano lette e/o riassunte dal ministro degli Esteri Aberdeen all’ambasciatore Neumann. Quando Mazzini, resosi conto di essere spiato, con una petizione alla Camera dei Comuni fa esplodere lo scandalo, l’imbarazzo è enorme in un Paese dove i diritti individuali sono di per sé sacri, e la battaglia pro e contro la libertà personale e la ragion di Stato diventa un caso nazionale. Negli anni a seguire, ogniqualvolta la stampa tory, ostile al suo repubblicanesimo e favorevole allo statu quo o alla causa piemontese, rovescerà sull’«arcicospiratore» le accuse più infamanti di vigliaccheria, incapacità, crudeltà, la lettera aperta al Times di Carlyle pubblicata in quell’occasione sarà ricordata e usata come contrappeso agli insulti: «Mazzini è uno di quegli uomini rari, da contarsi disgraziatamente come unità su questa terra, che meritano d’essere chiamati col nome di anime-martiri, le quali, silenziosamente e pianamente, nella loro vita giornaliera, intendono e praticano il dovere».
Poi verrà il tempo della Lega Internazionale dei Popoli, dell’esperienza di Triumviro nella sfortunata Repubblica romana e del ritorno a Londra come colui che ha combattuto contro il potere temporale del Papa e contro la sempre odiata Francia, dei «Friends of Italy», delle nuove amicizie, Dickens, Thackeray, Elizabeth Barrett Browing, dell’indirizzo a Chelsea, in Radnor Street, persino dei riconoscimenti letterari sul Daily News al suo pensiero e alla sua prosa: «Non accade spesso, forse neppure ogni cinquecento anni, che genio letterario e politico si trovino uniti così armoniosamente e strettamente». Il «Mefistofele della democrazia» per i suoi nemici, «l’apostolo della democrazia» per i suoi seguaci, lascia il posto, via via che l’unità d’Italia si incanala sulle rotaie monarchico-piemontesi, al Profeta, al Maestro di Fulham Road, un vecchio smunto ma dagli occhi ancora fiammeggianti.
Nel 1865, quando l’Associazione del Progresso di Faenza lancia un «Dono Patriottico a Giuseppe Mazzini», gli amici inglesi si assoceranno con 521 sterline, due scellini e sette penny, frutto di una sottoscrizione che raggiunge 388 firme.

Ci sono politici, economisti, scrittori. Il suo esempio, scrivono, «è stato una perenne ispirazione per gli inglesi». E migliore epitaffio, in fondo, dalla Superba Albione il figlio della Superba per eccellenza non avrebbe potuto avere.

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