Roma - Dalla scuola dell’infanzia all’Università: ecco la pagella del governo Berlusconi e del ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini.
Riforma dell’Università: promossa con lode. Il sistema di valutazione affidato all’Anvur, l’Agenzia di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca, è avviato insieme al sistema di accreditamento per i corsi e le sedi e all’abilitazione nazionale per i docenti. È stato dato lo stop ai finanziamenti a pioggia, d’ora in poi saranno proporzionati al raggiungimento dei risultati. Riorganizzata la governance. Monitoraggio costante della situazione economica: rigore e trasparenza nei conti, le università con i bilanci in rosso saranno commissariate. Tutti gli atenei hanno messo a punto i nuovi statuti adeguandosi, più o meno controvoglia, alle novità introdotte dalla riforma che punta ad innalzare la qualità e a premiare il merito. Quasi tutti gli Atenei hanno adottato un codice etico. Oltre 800 i corsi di laurea pleonastici cancellati. A questo punto sembra davvero impossibile tornare indietro, all’università dei baroni e del nepotismo. Il governo poi guadagna una «lode» con l’avvio degli Its, gli Istituti tecnici superiori, dopo ben 37 anni dal primo tentativo di renderli operativi. Si tratta di un canale formativo di pari dignità rispetto a quello universitario che formerà tecnici altamente specializzati, profili professionali qualificati pronti per il mondo del lavoro.
Riforma del ciclo dell’istruzione (scuola dell’infanzia, elementari, medie e superiori): promossa ma restano alcuni «debiti» da sanare. Alle elementari dopo fortissime resistenze l’abolizione del modulo, tre maestre su due classi, con il ritorno del maestro prevalente è stato digerito. Si tratta forse dell’iniziativa più criticata della Gelmini. Ma se l’accusa era quella di aver abolito il modulo per motivi economici eliminando le compresenze per tagliare gli organici è altrettanto vero che il modulo fu introdotto non per finalità didattiche ma all’unico scopo di moltiplicare i posti di lavoro per i docenti.
Bene anche il ritorno del voto sul comportamento a partire dalle scuole medie, prevedendo la bocciatura con il 5 in condotta. Ancora da verificare l’impatto sul lungo termine della riforma delle superiori che hanno beneficiato di una razionalizzazione degli indirizzi sperimentali che erano oltre 400, ora ridotti a sei licei con la novità del liceo musicale e coreutico. Le medie restano sicuramente l’anello debole della catena, come dimostrato anche da una recente ricerca della Fondazione Agnelli, il punto in cui precipita il livello di preparazione degli studenti. Qui occorrerà intervenire di nuovo in modo incisivo.
Riforma del reclutamento degli insegnanti: bocciata. Anzi «inclassificabile». È questo infatti il nodo cruciale che non è stato sciolto, come ha ammesso con rammarico pochi giorni dopo le dimissioni lo stesso ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini, la questione dell’accesso alla professione docente è rimasta sul tavolo. Diverse le proposte e anche i disegni di legge abbozzati in commissione Cultura a Montecitorio ma di concreto non è stato fatto nulla. Non si è riusciti neppure a disegnare insieme ai sindacati la progressione della carriera diversificando gli stipendi in base al merito anche se sono state avviate alcune sperimentazioni. Purtroppo, perché la scuola la fanno gli insegnanti e l’innalzamento della qualità dell’istruzione passa inevitabilmente dal rilancio del profilo professionale dei docenti che è però materia contrattuale e dunque oggetto di trattativa.
Si tratta, comunque lo si voglia giudicare, di un bel pacchetto di novità che hanno inciso ed incideranno sulla vita quotidiana di alunni, docenti e famiglie e sul futuro assetto del comparto. Ma quando si parla di scuola ed istruzione riguardo al governo Berlusconi l’idea dominante resta quella di un esecutivo che ha fatto solo tagli. Nonostante la norma sulla stabilizzazione triennale concordata con i sindacati grazie alla quale nello scorso settembre nella scuola sono state fatte 67.000 assunzioni a tempo indeterminato, un’infornata che non conosce precedenti nei recenti governi di centrosinistra.
Per il ministro Gelmini dal punto di vista della percezione dell’opinione pubblica va anche peggio visto che viene ricordata per lo più come «quella del tunnel fra il Gran Sasso e la Svizzera» a causa della gaffe di un comunicato stampa raffazzonato che riguardava la scoperta della velocità dei neutrini. Comunicato di cui ovviamente il ministro non sapeva nulla.
Vituperata, oggetto di slogan spesso molto trash e pure imitatissima, da Paola Cortellesi a Caterina Guzzanti, il ministro Gelmini in questo senso è in buona compagnia. In quasi tutti i governi che si sono succeduti dall’alba della Repubblica il titolare del dicastero dell’Istruzione è stato quasi sempre il più bersagliato, spesso a pari merito con il ministro dell’Economia. Tra i più odiati da studenti e sindacati di categoria Rosa Russa Jervolino e la sua scuola Jurassica, Luigi Berlinguer e il famigerato concorsone aborrito dai docenti e dunque mai diventato realtà.
Certamente ora che la Gelmini non è più al governo si può far notare ad esempio che il neoministro, Francesco Profumo (giustamente apprezzato per il suo prestigioso curriculum), era stato da poco nominato presidente del Centro Nazionale delle Ricerche proprio dalla Gelmini e che alcune scelte da lui fatte quando era rettore del Politecnico andavano proprio nella direzione presa poi dalla riforma Gelmini. Si può anche notare che pur essendo facoltà di un nuovo ministro bloccare automaticamente i provvedimenti ancora in itinere del suo predecessore, Profumo per il momento non si è avvalso di tale prerogativa e non ha espresso volontà in questo senso.
E certamente sarebbe stata una decisione bizzarra da parte dell’ex presidente del Cnr quella, ad esempio, di non firmare lo schema di decreto di riparto del Fondo ordinario per gli enti e le istituzioni di ricerca finanziati dal ministero (Foe) messo in cantiere dalla Gelmini visto che il decreto ripartisce tra dodici enti di ricerca (tra i quali appunto il Cnr) oltre 1,6 miliardi di euro (1.655.114.653 euro, per l’esattezza).
E se è ovvio che tutto è perfettibile tanto più per una riforma che comincia a muovere i primi passi e che quindi dovrà verificare la sua efficacia nel tempo è lo stesso Profumo a dichiarare che alla scuola adesso «non servono nuove riforme».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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