Antonio Bovetti
Nel Museo marinaro, in via Giovanni Bono Ferrari 41, a Camogli, sono raccolti i ricordi di duecento anni di vita marinara della città. Si va dalle riproduzioni di velieri in legno, agli strumenti per la navigazione, ai quadri che raffigurano quei capitani che scrissero molte pagine della storia del Risorgimento italiano e resero la città dei «Mille Bianchi Velieri» famosa nel mondo. Sugli scaffali troviamo brigantini, golette, riproduzioni di piroscafi a vapore impiegati nella navigazione su fiume, tutti rigorosamente in bottiglia.
«Molti sono pezzi donati al museo da camogliesi - racconta il comandante Pro Schiaffino, direttore del museo - era un modo creativo per passare il tempo, quando si navigava a vela e capitava di entrare in bonaccia, ossia in assenza di vento, i marinai avevano del tempo libero, c'era chi dipingeva, chi leggeva la Bibbia, alcuni particolarmente abili alla manualità, si dedicavano a costruire velieri nelle bottiglie». Ogni navigante aveva il suo «cassetto dei ferri», dove custodiva con gelosia, pinzette dal becco lungo, coltellini, pece, pennellini, colla e stucco. I marinai, quando scendevano nei porti, si rifornivano di pitture particolarmente forti per colorare gli scafi dei modellini, andavano in cerca della «Balsa», tipo di legno duttile alla lavorazione a mano degli scafi e degli alberi. Sul fondo del vetro della bottiglia, veniva spalmato lo stucco e lo si colorava con le tinte del mare, poi si incollava lo scafo al centro della bottiglia, completo di alberi piegati e legati a tanti spaghetti. «Quando la colla induriva, si aspettava un momento di bonaccia - puntualizza Schiaffino - si tiravano i cordini e vi assicuro, che mettere in piedi gli alberi e spiegare le vele o pitturare lo stucco sotto lo scafo non è facile. Più il collo era stretto e lungo, più era difficile armeggiare con pinzette e cordini dentro la bottiglia, ma questo lavorio aumentava la preziosità dell'opera. Erano gelosi dei loro trucchi, quando dovevano tirare gli spaghi questi marinai andavano a nascondersi nelle cabine, io li seguivo per scoprire come armeggiavano dentro la bottiglia - racconta sorridendo il comandante Schiaffino - non volevano svelarmi i segreti nonostante le mie insistenze».
Si racconta che tra i naviganti, si alludeva che le bottiglie venissero tagliate sul fondo e il piccolo bastimento venisse infilato dentro senza le tante decantate manovre, poi si rincollasse il vetro e il trucco era fatto. Questi estrosi marinai che della caparbietà ne facevano un vanto, per smentire tante malignità costruivano i velieri dentro le lampade usate a bordo, che avevano il vetro molto sottile ed era impossibile tagliarlo o manipolarlo e, con questa trovata, chiusero la bocca a tanti maligni.
Camminiamo nelle sale del Museo marinaro, ascoltando le descrizioni del comandante Schiaffino che racconta, con la passione del lupo di mare, l'avventurosa vita del navigante, il modo in cui si «governava» un brigantino, solo con una ventina di marinai a destreggiarsi nei tempestosi oceani con vele e sagole, la nostra fantasia ci fa immaginare la dura vita di bordo.
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