Gli scontri di ieri nella capitale greca e i cortei di studenti italiani che abbiamo visto sfilare in questi ultimi mesi hanno una sola cosa in comune: la rivolta contro la riforma dei rispettivi sistemi universitari. Gli studenti e i sindacati dei docenti negli atenei ellenici osteggiano un progetto di legge che è ancora allesame del Parlamento. E che già da questestate, a giugno e a luglio, ha portato in piazza a più riprese oltre 10mila manifestanti, con annessi scontri con la polizia. Questi i punti più controversi: gli studenti rifiutano la revisione dellarticolo 16 della Costituzione, che vieta le università non pubbliche, cosa che aprirebbe la strada alle facoltà private e a pagamento. Una realtà che di fatto esiste già. La riforma vuole infatti il riconoscimento da parte dello Stato greco dei titoli di studio rilasciati dalle università private, ossia «filiali» di atenei stranieri che operano da anni ad Atene ma le cui lauree sono riconosciute finora solo dalla casa madre in America o in Gran Bretagna. Il punto è che in alcuni casi sono atenei di fama consolidata, ma le università «pirata», che rilasciano titoli di dubbio valore, non mancano.
Il governo vuole inoltre imporre la riduzione del numero di anni nel ciclo universitario pubblico, non autorizzando, ad esempio, più di due anni fuori corso. Tra laltro vuole anche rimettere in discussione la regola che vieta lingresso delle forze di polizia nei centri universitari. Un punto nevralgico del progetto di legge, che colpisce a fondo la sensibilità dellopinione pubblica. Proprio dal Politecnico di Atene partì la rivolta contro la dittatura dei colonnelli, il 17 novembre 1973.
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