«La mia azienda assume e cresce ma la Cgil non ci sta e mi fa guerra»

nostro inviato a Galliate (No)

«Basta sono stufo di sentirmi definire un padrone che sfrutta i lavoratori». Alain Houli è un imprenditore di origine francese che da trent'anni vive in Italia, dove ha creato un'azienda che produce mobili da giardino in plastica e oggi fattura 22 milioni di euro. Una bella realtà che dà lavoro a cento dipendenti più a un'altra quarantina tramite una cooperativa.
Bella per tutti, ma non per la Cgil, che gli ha dichiarato guerra in una storia tristemente emblematica della mentalità di una parte del nostro sindacato, che sembra rimasto ancorato agli anni Settanta. Nonostante l'evidenza, nonostante il buon senso. Già, perché in questo terribile 2009, la Shaf non solo non ha mandato nessuno in cassa integrazione, ma ha addirittura assunto altre quattro persone a tempo indeterminato. La sua colpa? Ha deciso di non tollerare più l'assenteismo.
«La mia è una situazione paradossale», spiega Houli nello stabilimento di Galliate, alle porte di Novara. Non ha proprio l'aspetto del padrone; anzi, è un industriale che non ama i conflitti e che, contrariamente a molti spregiudicati manager, ha sempre considerato prioritaria la dimensione umana dell'azienda. «Pensi che grazie all'automazione avrei potuto licenziare metà dei dipendenti, ma mi sono sempre rifiutato di ridurre il personale», afferma. Ed è sempre stato piuttosto generoso sul fronte salariale, garantendo superminimi e straordinari più alti della media.
Ciò nonostante da tempo è tormentato dalle assenze sul lavoro. «Nelle aziende del nostro settore sono pari al 4-5%, ma nel mio reparto produzione raggiungono il 25-30%. Sono gli stessi 10-15 operai, che ogni dieci giorni restano a casa, quasi sempre per malattia. Le conseguenze sono pesanti. Significa che quattro delle diciassette presse restano ferme», spiega Houli, che ha cercato di risolvere il problema tendendo la mano; ha istituito addirittura un premio di presenza. E non da poco: pari a una mensilità. «Mi aspettavo la comprensione e l'aiuto del sindacato, ma non è arrivato. Mi dicevano: non possiamo farci nulla, come se l'assenteismo fosse una fatalità». La produttività è addirittura diminuita e allora Houli ha deciso di reagire. Ha sostituito gli interinali con una cooperativa, come consentito dalla legge. Risultato: la produttività è passata da 400-500 pezzi al giorno a 800-1000.
Ma la Cgil si è infuriata, considerando illegale il ricorso alla cooperativa. Dapprima ha proclamato uno sciopero «perché si lavora troppo». Poi per una settimana ha deciso mezz'ora di astensione alla fine di ognuno dei tre turni, con un danno immenso perché ciò comportava lo spegnimento e la riaccensione delle macchine che necessitano di una lunga messa a punto.
«Succedono cose molto gravi in azienda - spiega Houli -. Alcuni operai hanno subito minacce fisiche, che sono state denunciate ai carabinieri. Altri sono stati invitati brutalmente a rallentare il ritmo, ma la Cgil anziché difendere i meritevoli e aiutarci a punire chi boicotta, ha sempre chiuso gli occhi. Anziché affrontare il problema ci diceva: “Ah ci sono sempre teste calde”». Houli in passato, quando l'azienda era a Rho, è stato costretto persino a presidiare i cancelli alle 4 del mattino per allontanare i provocatori.
Nei comunicati il sindacato confederato più a sinistra parla di «lavoratori trattati come bestie», nei colloqui lo accusano «di fregare e spremere i lavoratori» e di voler delocalizzare.

«Ma se così fosse non starei qui a impazzire con loro, me ne sarei già andato da un pezzo», si arrabbia Houli, che tiene duro, ma non capisce certe logiche. O forse le capisce fin troppo bene. Che sindacato è quello che rema contro l'Italia che resiste?
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