Per quello che fa dice di sentirsi una persona fortunata ma ha un lavoro che gela il sangue nelle vene. Detto in termini burocratici: direttore tecnico principale biologo del servizio di Polizia scientifica sotto la Direzione centrale anticrimine guidata dal prefetto Nicola Cavaliere. In altre parole Paola Asili, cagliaritana, 31 anni, da tre in Polizia, è specializzata nell’identificazione di cadaveri. Vittime di disastri aerei, catastrofi naturali, deragliamenti, attentati terroristici. È stato il suo gruppo, il Disaster Victim Identification italiano, ad entrare in azione subito dopo lo tsunami, sono stati loro a restituire un’identità alle vittime italiane delle autobombe di Sharm-el-Sheik. Recupera resti, analizza, studia, cerca di ritrovare un nome tra quel che c’era di una vita. Senza perdere mai la voglia di sorridere. Quanti corpi ha esaminato nella sua vita? «Mai contati. Grazie a Dio...». Quante ore al giorno si lavora sui luoghi delle catastrofi? «Ho imparato a non guardare l’orologio. E a non sentirne l’esigenza. Diciamo fino a venti ore». I Csi cercano assassini e voi? «Noi ci accontentiamo di restituire un corpo a chi gli ha voluto bene, di alleviare il dolore dei parenti». Cosa basta per identificare una persona? «Il Dna. Le impronte digitali e le protesi dentali sono decisive». Cosa può tradire? «Gli effetti personali. Mai fidarsi: possono appartenere a chiunque». La cosa che rende più difficile identificare un corpo? «Il fuoco cancella tutto. Compreso il Dna». Come si torna dal mondo degli incubi? «Restando una persona viva in ogni momento della giornata». Ha mai incubi la notte? «Sono fortunata: dormo benissimo». Il ricordo peggiore che ha? «In Thailandia ho visto corpi di ragazzi giovani, uccisi da una scheggia, uccisi per caso o per ultimi. Sembravano dormire. Più straziante di tanti corpi dilaniati». A cosa non si fa l’abitudine? «Alla morte dei bambini, all’ingiustizia di certi destini». Immagina mai il futuro di quelle persone, di cosa potevano diventare e non sono mai diventati? «Mi è successo, ma è un pensiero che ho cancellato subito. Quella sì è un’esperienza troppo dolorosa da vivere». Cosa l’ha colpita a Sharm? «La dignità dei parenti nell’affrontare il dolore». Il problema più grosso? «Non c’erano celle frigorifere. Un inferno nell’inferno». Come si fa a chiudere a chiave ogni emozione? «Ci si estranea da se stessi. È come se non fossi io quella lì, mi guido come se fossi fuori dal mio corpo». Ci sono esperienze che restano dentro per sempre? «La morte delle persone care ti segna in modo incancellabile, ti cambia dentro. A me è successo». Cosa le fa orrore nella vita di tutti i giorni? «L’apatia della gente. La vita è bella...». E cosa le fa paura? «La violenza dei nostri tempi, specie quella sui più piccoli». Qual è il premio di un lavoro così? «Aiutare gli altri è aiutare me stessa». E qual è il prezzo che si paga? «Non si paga niente». Ci vogliono più doti fisiche o psichiche? «Tutte e due. E non bisogna mai dare niente per scontato». Ci vuole più coraggio o pazienza «Nessuna delle due. Basta avere equilibrio». È più una passione o una missione? «Una grande passione che diventa una grande missione». A cosa ha rinunciato per questo lavoro «A stare vicina ai miei cari alle persone che amo: i miei genitori, mio fratello, i miei nipotini». Cosa si impara da un mestiere così? «Si impara ad apprezzare le piccole cose di ogni giorno, a capire che oggi ci sei e domani no, che non devi sprecare la tua vita».
Dicono che siete persone divertenti per esorcizzare il contatto con la morte? «Vero. I medici legali per esempio sono persone divertentissime. Fanno morire dal ridere...». La morte è la fine di tutto? «No, la morte è l’inizio di tutto».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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