Migliaia di firme contro Repubblica

La mail del "Giornale" presa d’assalto da imprenditori e artigiani contro lo strapotere di Repubblica e dei giudici politicizzati. Se siete d'accordo col manifesto lanciato da Michele Perini scrivete a nofurbi@ilgiornale.it

Migliaia di firme contro Repubblica

Centinaia e centinaia. Impossibile dire esattamente quante siano, perché anche al momento di andare in stampa continuano ad arrivare all’indirizzo mail messo a disposizione dal Giornale (nofurbi@ilgiornale.it) le adesioni al manifesto lanciato da un gruppo di imprenditori. Basta dire che ieri già a mezzogiorno erano in oltre 1.500 a voler mettere la firma sotto quella dell’ex presidente di Assolombarda, oggi al vertice di Fiera Milano, Michele Perini. Un uomo del fare. Deciso a chiedere un’Italia diversa. Un Paese che difenda gli imprenditori e non più spericolati finanzieri, magari con in tasca la tessera numero uno del Pd come Carlo De Benedetti, sempre pronti a incassare gli aiuti di Stato. E a far la predica dalle colonne di quotidiani e settimanali a libro paga. Alla faccia di piccole aziende e artigiani abituati a tirar la carretta senza santi in paradiso.
Aderisce Assimpresa.

Il presidente Aldo Romanini firma a nome degli associati. «Siamo gli imprenditori di ogni settore, siamo gli artigiani, i venditori ambulanti che popolano le nostre piazze e le nostre fiere, i bottegai come a qualcuno piace chiamarci per disprezzo, siamo i professionisti; siamo quelli che vanno in giro per il mondo senza l’aiuto dello Stato, quelli che con la fantasia e l’impegno quotidiano fanno sì che il nome Italia venga rispettato in tutto il mondo. Noi siamo i veri servitori dello Stato». E le storie di chi aderisce sono le più diverse. Amari sfoghi di chi per troppo tempo non ha avuto voce. «Venticinque anni di Olivetti e la vita rovinata - scrive Paolo Carboni -. Come me ne ho conosciuti tanti altri, anche chi lavorava alla Perugina che, una volta cambiata la proprietà, non è stato riassunto». Scrive da Torino e si firma orgogliosamente «da sempre artigiano» Angelo Cecere che accusa avvelenato «i finanzieri da strapazzo e i burocrati fannulloni che ci succhiano il sangue».

Mauro Ferri s’indigna per l’Italia diventata «una repubblica burocratica fondata sulla magistratura». E dove «i governi liberamente eletti possono essere rovesciati dai Giudici indipendentemente dal volere del popolo». Scrive giudici con la «g» maiuscola a testimonianza di quanto rispetto ci sia ancora per l’istituzione. Fabio Giuffrida è «un ragazzo di soli 17 anni, ma mi sento indignato davanti alle accuse e alle menzogne che ogni giorno Repubblica e i giornali a lei vicini pubblicano. Menzogne tese ad attaccare l’attuale presidente del Consiglio, menzogne che però stanno finendo per rovinare la nostra Italia». Scrive da Point Noire, Repubblica del Congo, Cesare Introzzi, è chef departement exploration terre dell’Eni. Raggiunto al telefono racconta che lavora all’estero, ma la vera passione è l’Italia, la sua politica, la sua economia. «Basta, non se ne può più di personaggi come De Benedetti che ha prodotto solo macerie, appoggiato dalla sinistra e dai sindacati. Ma ci ricordiamo il fallimento di Olivetti con tutti quei posti di lavoro persi? E i sindacati cosa hanno fatto? Niente, se al suo posto ci fosse stato Berlusconi lo avrebbero massacrato». Ubaldo Fornaciari si definisce «uno che lavora».

E chiede «basta corporazioni di magistrati strapagati e politicizzati, processi che durano una vita. Basta giornali pagati con i soldi pubblici. Basta artisti che vivono del denaro pubblico e non piacciono che agli intellettuali. Basta consorzi che sono stipendifici, uffici contro il commercio, camere contro il commercio, l’agricoltura e l’artigianato». Gente che non dimentica la storia di un Paese che ha dimenticato la cultura d’impresa. «Ho contezza - dice Carlo Ferretti - delle famose telescriventi vendute al ministero delle Poste quando ormai non servivano neppure a un Paese sotto-sotto-sotto-svilupppato dell’Africa». Gian Luigi Goldoni ha uno studio tecnico in provincia di Modena. «Una regione, l’Emilia Romagna, dove le cooperative hanno affossato la concorrenza e il “Pci-Pds-Pd” ha instaurato una dittatura di mercato e di lavoro».
Un’Italia che non piace. E qualcuno, suo malgrado, è dovuto scappare. Come Antonio Disarò. «È la somma di tutti i furbi che fa affondare il Paese. Motivo per il quale ho abbandonato l’Italia 12 anni fa. Portando la mia istruzione, le mie capacità e il mio reddito all’estero».

Dall’Inghilterra scrive Laura Manganelli. «Ho lavorato per un gruppo bancario italiano. Ho potuto sperimentare anch’io le doti cannibalesche dell’Ing. De Benedetti (Credito romagnolo)». Tutti accecati da passione politica? Nemmeno per sogno.

«Aderisco - assicura Nicola Sala - non perché sia particolarmente vicino all’area politica che rappresentate, ma perché sono stanco degli strapoteri occulti alla D’Alema e De Benedetti che tirano i fili dei burattini». De Benedetti? Per Paolo Barbera «un uomo con il cuore a sinistra e il portafoglio in Svizzera».

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