Milano, i no global vogliono la Liberazione dei brigatisti

Ultrasinistra in piazza a Milano: fischi alla Moratti e a Bertinotti, inni per i terroristi arrestati a febbraio. La reazione: "Manette a chi espone simboli Br e centri sociali chiusi". E mentre il capo dello Stato Napolitano sottolinea che è "una festa di tutti", l'Unione attacca Berlusconi

Milano, i no global vogliono la Liberazione dei brigatisti

Milano - Non le hanno dato il tempo nemmeno di impugnare il microfono: il palco annuncia che sta per intervenire Letizia Moratti e i fischi partono all’istante. Fischi, urla («fascista, vergogna»), insulti hanno coperto ogni parola del sindaco di Milano, i fumogeni l’hanno nascosta, i cartelli di contestazione hanno fatto il resto: «Milano vuole spazi sociali, non covi neri», «Opporsi alla Milano nera», «Ieri i fascisti, oggi la Moratti: liberiamo Milano». Ecco il 25 Aprile sotto la Madonnina. Proteste contro il sindaco di Forza Italia, solidarietà con i presunti brigatisti in carcere.
I giovani del Vittoria, del Leonka, del Cantiere, della Panetteria Occupata e del padovano Gramigna non avevano ancora messo piede in piazza Duomo quando il resto del corteo si è scatenato. Il sindaco, unitosi alla sfilata in corso Vittorio Emanuele, ha letto il discorso senza farsi intimidire dalla tempesta di fischi e al termine ha sminuito le proteste, attribuendole «solo a un piccolo gruppo», ha detto di aver «sentito tanta unità», di «essere felice», ha ringraziato e promesso che l’anno prossimo tornerà.
Ma il coro è stato intenso e costante. E sarebbe andata peggio se il corteo della Liberazione, partito alle 15 da Porta Venezia con circa 25mila persone, non si fosse sfilacciato strada facendo. I primi si sono affacciati in piazza Duomo verso le 16, la Moratti ha preso la parola meno di mezz’ora dopo. Cgil, Rifondazione e una parte dei centri sociali sono arrivati alle 17,30.
L’altra fetta di anarchici e autonomi, un centinaio, da piazza San Babila ha preferito tirare dritto verso il carcere di San Vittore per manifestare solidarietà con i «compagni arrestati» lo scorso febbraio nell’inchiesta sulle nuove Brigate rosse. Le frange fiancheggiatrici, rappresentate soprattutto dai padovani del centro Gramigna, si sono fatte sentire subito, indisturbate. In corso Venezia è stato appeso, ritirato e poi portato in corteo lo striscione «Libertà per i compagni prigionieri» assieme a un altro: «Spezziamo l’isolamento, costruiamo la solidarietà». Slogan simili sono stati scritti sui muri o scanditi: «I nostri compagni non sono terroristi ma sono partigiani e sempre comunisti».
Gli antagonisti, alcuni con il volto coperto da fazzoletti rossi, hanno inalberato 14 cartelli con i nomi degli ultimi arrestati perché accusati di voler ricostituire le Br, Amarilli, Salvatore, Claudio, Davide e via dicendo, ciascuno accompagnato dalla qualifica: compagna studentessa, compagno infermiere, compagno impiegato e delegato, eccetera. Lanciati slogan anche contro il pm dell’inchiesta: «Boccassini non lo dimenticare - la lotta di classe non si può fermare». Un volantino spiegava che «gli arresti del 12 febbraio portano la firma dei Ds e del governo Prodi» contro «partigiani attivi e riconosciuti nei luoghi di lavoro».
Momenti di tensione quando questo troncone è giunto in San Babila, dove alcune centinaia di aderenti ai centri sociali avevano organizzato una specie di contromanifestazione. Lì sono stati urlati anche slogan contro Fausto Bertinotti (che era sul palco per il comizio finale accanto alla Moratti) e Oliviero Diliberto «servi dei padroni», oltre che contro gli Stati Uniti, Bush, la Cgil «stravenduta», il revisionismo storico: «Nessun diritto di parola a chi riabilita il fascismo», si leggeva su volantini firmati dai Carc (Comitati di appoggio alla resistenza per il comunismo) distribuiti da giovani con pitbull al guinzaglio. Insulti al passaggio della «Brigata ebraica»: «Israele sta facendo quello che nazismo e fascismo hanno fatto agli ebrei. Viva la Palestina libera».
Tra slogan, insulti e solidarietà ai detenuti, l’arrivo dei centri sociali in piazza Duomo è avvenuto quando il palco era già stato smontato. A rallentarli ha contribuito anche un plotone di militanti di Rifondazione che si è frapposto tra loro e il resto del corteo. Così Bertinotti non è stato raggiunto dalle proteste di chi gli rimproverava di «aver usato i movimenti per impadronirsi delle poltrone» e gli autonomi si sono lamentati con il partito del presidente della Camera che avrebbe impedito loro di esprimersi.
Della annunciata contestazione al leader del Prc, sul sagrato del Duomo è rimasto soltanto uno striscione sollevato da palloncini bianchi e rossi: «Berti-not in my name», un gioco di parole pacifista.

Bertinotti ha potuto chiudere la manifestazione con un comizio applaudito. E anche fare i complimenti alla Moratti: «Quando il sindaco di Milano viene a festeggiare il 25 Aprile, questa è una vittoria della democrazia».

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