Milano oltre il cantiere

D ove sta andando Milano? Sono in corso tante trasformazioni che cambieranno l'aspetto di vaste porzioni di città. E ci sono questioni urgenti, perché hanno a che fare con la qualità della vita e con l'immagine della nostra metropoli. Innanzitutto, cosa ci guadagnano i cittadini? E ancora: è riconoscibile una visione complessiva che unisce i progetti in atto a Milano? Interrogativi a cui hanno cercato di rispondere Andrea Arcidiacono e Laura Pogliani, ricercatori del Diap (Dipartimento di architettura e pianificazione) del Politecnico, coautori di «Per un'altra città» (Maggioli), il libro che sta riaccendendo il dibattito urbanistico a Milano. «Proprio in questi mesi - ricorda Arcidiacono - si sta ultimando il nuovo piano urbanistico e l'impressione è che i problemi non manchino, legati soprattutto allo scarso coinvolgimento della cittadinanza». Una prassi milanese che ha caratterizzato gli interventi di questi ultimi anni. «Dal 2000 a Milano si impiegano in maniera ordinaria i PII (Programmi integrati di intervento), strumenti negoziali che consentono di realizzare interventi urbanistici in variante al piano regolatore attraverso una negoziazione fra amministrazione pubblica e operatori privati».
Al privato, insomma, può venire concesso di edificare in variante al piano in cambio di dotazioni di rilevante interesse pubblico: un parco, un tratto di metropolitana o altre infrastrutture necessarie alla città. In questo modo sono avvenute tante trasformazioni a Milano negli ultimi 10 anni. Al Diap le hanno contate: «Sono 147, di cui 84 approvate definitivamente. Ma ad oggi i reali benefici per la città si vedono poco». Il che significa che lo strumento negoziale non sta funzionando a dovere. E in prospettiva i rischi sono ancora maggiori: «Se in molti di questi interventi, avvenuti in un momento di grande effervescenza del mercato immobiliare, l'amministrazione ha saputo incamerare pochi miglioramenti della qualità urbana, in un momento di crisi come questo tale prospettiva si fa ancora più lontana». Altra questione riguarda le dimensioni degli interventi, a volte troppo ridotte per avere un reale impatto strategico. «Oltre la metà sono sotto i 10.000 mq, praticamente un isolato, e al più hanno prodotto trascurabili giardinetti condominiali». E i grandi progetti? «Sono nove: Santa Giulia, Fiera-Citylife, Portello, Garibaldi-Repubblica e Isola, C.na Merlata, Porta Vittoria, ex Marelli-C.na S. Giuseppe, Manifattura Tabacchi, e occupano quasi tre milioni e mezzo di mq per funzioni miste, con un carico insediativo stimabile in 17.000 abitanti. Hanno assunto, all'inizio, un ruolo dichiaratamente strategico, ma la stessa amministrazione, nella Relazione di sintesi, ha ammesso che si tratta di "occasioni non adeguatamente sfruttate". I progetti di valore pubblico sono ormai cancellati o al palo e subiscono le volubili indicazioni delle amministrazioni che si susseguono. È il caso dell'ambizioso Centro Congressi, previsto a Santa Giulia e poi trasferito al Portello, della Biblioteca Europea a Porta Vittoria, rinviata sine die, o del ridimensionamento della Città della Moda in zona Garibaldi. Mi sembra anche che ci sia stata una corsa a scegliere la funzione più di tendenza, senza valutare le reali priorità urbane».
Ma almeno esiste una strategia a monte? A quanto pare no. «Manca una visione d'insieme. Nei grandi progetti troviamo insostenibile soprattutto l'assenza di una vera integrazione con il piano della mobilità e dei servizi. Milano sta ancora aspettando il suo Pgt e crediamo che un piano di governo del territorio dovrebbe quantomeno indicare dove è possibile densificare, dove servono certi servizi, promuovere una visione più sistemica della città. A Milano un piano dei servizi manca ancora, e quindi ci domandiamo come sia possibile valutare l'interesse pubblico degli interventi privati senza avere un'idea complessiva di quale siano i reali bisogni degli abitanti».

Ma quale metropoli dovremmo aspettarci nei prossimi anni? «Una città in cui la negoziazione venga praticata all'interno di un disegno generale e condiviso, in cui il piano dei servizi venga costruito organicamente, con il contributo dei cittadini ma anche dei promotori privati, in cui il miglioramento dell'accessibilità pubblica sia obiettivo prioritario per ogni trasformazione. Senza contare che sarebbe importante cominciare a pensare ad una città metropolitana policentrica, e farlo davvero».

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