Addio Burini, il nonno del Diavolo

Con il Gre-No-Li riportò lo scudetto al Milan dopo 44 anni

Addio Burini, il nonno del Diavolo

Non era famoso come Liedholm, non era devastante come Nordhal, non era celebrato come Gren. Ma segnava come nessuno: 87 gol in 190 partite con il Milan, praticamente una partita si e una no. Dribbling secco, tiro con tutti e due piedi, meglio se in corsa, era il quarto uomo, il ragazzo con la pistola al servizio del Gre- No-Li, il trio svedese che ha cambiato il destino del Diavolo, da squadra di casciavit, proletaria e un po' sfigata, ad aristocrazia del calcio mondiale. Renzo Burini, friulano di Palmanova, se ne è andato ieri al Trivulzio dove aveva deciso di vivere il tramonto della vita: aveva compiuto 92 anni da quindici giorni, ed era il nonno dei milanisti, quello sbarcato nel 1947, a guerra appena finita, nessuno fino a ieri, tra i vivi, poteva dire di essere arrivato in rossonero prima di lui. Pensare che, bambino, era tifoso dell'Inter. All'inizio, oltre a giocare nel Milan, lavorava come impiegato in maglieria.

Era uno dei ragazzi che riportarono lo scudetto al Milan dopo 44 anni (e la Coppa Latina, la madre della Coppa dei Campioni), come Carletto Annovazzi el negher di Porta Romana, Ciapin Bonomi che arrivava da Cassano D'Adda, Sandokan Silvestri. Gioca anche in Nazionale, 18 partite compresa l'Italia B, e non perde mai, grazie a un suo gol il Milan dei Casciavit batte il Grande Torino un anno prima di Superga. Lo giudicano bravo ma timido, uno che scompare quando la lotta si fa dura, i tifosi glielo fanno pesare. Lui ne soffre, così contro il Napoli segna un gol alla Weah, parte da centrocampo, dribbla tre avversari e fulmina il portiere.

Al pubblico mostra il gesto che tutti immaginate, ma i tifosi lo perdonano con una risata. Passa alla Lazio, al Cesena, per un po' allena poi apre un ristorante, il tempo passa veloce. Ma il sorriso è rimasto sempre giovane.

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