La «Bisbetica» di Chiodi Un cast al maschile nel segno di

Shakespeare Un classico del teatro elisabettiano in una commedia sulla finzione e il travestimento

Antonio Bozzo

Bisbetico domato (da Ornella Muti) fu Adriano Celentano, in un film del 1980 scritto e diretto da Castellano e Pipolo. Certo non è al popolare film che Angela Demattè (ha tradotto e adattato il testo) e Andrea Chiodi (regista) hanno pensato, lavorando per La bisbetica domata, in scena al Carcano dal 7 al 19 febbraio. Però anche qui la bisbetica diventa bisbetico: insomma è un uomo. Non solo, sono uomini tutti gli otto attori in scena, per rimandare «al gioco elisabettiano dei travestimenti». Shakespeare, è la convizione di regista e attori, vedrà di sicuro benevolmente, dal cielo degli artisti immortali, il trattamento così disincantato della sua commedia, che debuttò nel 1593. Protagonisti gli attori premiatissimi Tindaro Granata (l'ostessa, il paggio, la bisbetica Caterina); Angelo Di Genio (Smalizia e Petruccio); Christian La Rosa (il signore, Tranio, Giuseppe). Con Igor Horvat e Massimiliano Zampetti, e i tre attori freschi di diploma Ugo Fiore, Walter Rizzuto, Rocco Schira, costituiscono un cast di primissimo livello: non l'ultimo dei motivi per staccare il biglietto. La bisbetica di Chiodi, regista di vaglia, che lavora al Lac diretto da Carmelo Rifici (ne approfittiamo per un plauso), ha una forza comica superiore all'originale. È proprio esaltando questa componente, alla quale Shakespeare non rinunciò mai, che l'allestimento tutto da ridere porta alla luce finzioni, atrocità, essenza delle relazioni umane, sempre dipendenti dalla società che le genera e favorisce. «Siamo certi che sia solo il cuore della bisbetica Caterina a dover essere domato? Non è forse la società con i suoi stereotipi a vedere nel diverso una stranezza da ricondurre alla normalità? Sapevano bene già gli antichi greci che per salvarsi è necessario un passaggio dalla sofferenza. Non accade proprio questo a Caterina?», si legge nelle note di regia stese da Chiodi. Staremo a vedere. Intanto, salutiamo felici una produzione che non ha lesinato sforzi pur di servire lo spirito del Teatro con la maiuscola. Per fortuna a Milano accade più di frequente di quanto i pessimisti in militanza permanente ammettano. C'è chi ha voluto vedere, nella sparizione della donna, una sorta di riferimento alla condizione femminile di oggi, femminicidi (possiamo dire che è parola stupida, coniata con buone intenzioni, ma stupida?) in primo luogo. Dentro Shakespeare, lo sappiamo, c'è tutto.

Franco Branciaroli lanciò una provocazione, proprio su queste pagine, invitando i teatri italiani a mettere in scena soltanto opere del Bardo, unica strada per innalzare la cultura e la coscienza dei cittadini. Ma forse è meglio sorridere di certe idee - lasciano sempre trapelare la voglia di controllo, ben realizzata dalle dittature - e godersi lo spettacolo come un normale spettatore di teatro. Orario della prima, 20.30.

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