Centro per formare i tecnici. L'Italia "al lavoro" in Tunisia

Realizzato a Nasser, preparerà in loco il personale destinato alle nostre aziende che vogliono investire

Centro per formare i tecnici. L'Italia "al lavoro" in Tunisia

nostro inviato a Tunisi

«Aprite le porte alla Tunisia». Nel quartiere generale di Utica, a Cité El Khadhra, il presidente degli industriali tunisini incontra una delegazione italiana appena sbarcata per la missione guidata da Asigitalia. L'associazione lavora al progetto di un centro di formazione professionale per formare in loco il personale destinato alle aziende che vogliono investire in Africa. Gli imprenditori interessati sono per lo più del Nord-Italia. Solo i lombardi sono una decina. La Regione con il sottosegretario Alan Rizzi ha contatti frequenti con il consolato tunisino a Milano. Rizzi segue «con grande interesse il progetto»

Le parole del presidente di Utica Samir Majoul, intanto, suonano come un appello, perfettamente in bilico fra la diplomazia e l'urgenza. «Chiediamo all'Europa di aprire le porte. Anche all'olio d'oliva, certo, cosa volete che esportiamo? Carri armati?». La Tunisia oggi è un piccolo miracolo. Una democrazia laica di 10 milioni di abitanti sulla sponda sud del Mediterraneo, circondata da venti minacciosi e confinante con il caos libico. Un miracolo fragile. A giugno per la prima volta si è votato anche per le amministrazioni locali. L'anno prossimo sarà la volta delle presidenziali. Il Paese nel 2015 ha vissuto un passaggio drammatico con l'attentato dell'Isis al Bardo, il museo-gioiello della capitale. E l'Utica non è solo un sindacato di industriali. Nel 2015 ha vinto il premio Nobel per la pace con il cosiddetto Quartetto per il dialogo nazionale tunisino. Parlando un italiano ineccepibile, Majoul orgogliosamente spiega che «i politici passano» ma «noi non siamo preoccupati, la strada della democrazia è stata scelta. Siamo la cintura di sicurezza del Sud Mediterraneo». La scommessa è che i venti del populismo tribale si fermino al confine. La speranza è che il modello Tunisia si affermi in tutta la regione. Come sintetizzano gli industriali la sicurezza, la stabilità politica e lo sviluppo economico si tengono. La Tunisia non ha petrolio: vive per lo più di agricoltura. Il tessile ha un peso. Il turismo sarebbe una chance.

L'Italia è un partner cruciale. Spiragli interessanti si stanno aprendo nelle rinnovabili. Ansaldo ha firmato un contratto con la compagnia elettrica locale per realizzare «chiavi in mano» una centrale a Mornaguia. E il riferimento all'olio non è casuale. Le esportazioni d'olio a dazio zero sono un problema. Nel primo trimestre del 2018 la Tunisia ne ha esportate in Italia 20mila tonnellate. I numeri sono cresciuti in modo esponenziale e i coltivatori italiani chiedono di non rinnovare la concessione.L'interscambio fra Italia e Tunisia supera i 5 miliardi di euro e le esportazioni italiane nel 2017 hanno superato quelle francesi. Le imprese italiane attive in Tunisia sono 800, per 63mila posti di lavoro. Il costo del lavoro contenuto rende ancora conveniente investire.

Asigitalia, con la presidente Rossana Rodà, a novembre aprirà il suo centro a Nasser, quartiere residenziale di Tunisi. Sviluppo e sicurezza: la Tunisia è anche Paese di partenza e transito dei migranti e su questo dossier ci sono state frizioni recenti. «I rapporti sono calorosissimi» rassicura l'ambasciatore italiano a Tunisi, Lorenzo Fanara. Italia e Tunisia - spiega - stanno lavorando insieme a una revisione degli accordi bilaterali per rendere più flessibili i rimpatri. «Nel 2018 le partenze ci sono state, circa 4.800, al 90% tunisini - ammette - ma anche tanti rimpatri, alcune migliaia». Gli «aiuti tecnici» non mancano.

«La Tunisia è un Paese democratico ed è fondamentale che sia sostenuto» spiega Fanara. È la diplomazia economica: «L'Italia crea posti di lavoro, prosperità, e contribuisce alla sicurezza di un paese vicino e strategico».

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