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In città torna la scabbia Due casi in un liceo: l’Asl fa scattare l’allerta

Fuori da scuola la voce passa di mamma in mamma. Due compagni dei loro figli hanno avuto la scabbia e tutti gli studenti hanno nello zaino la circolare con le raccomandazioni igieniche. Farsi la doccia tutti i giorni, lavarsi spesso le mani, non scambiarsi indumenti, lavare lenzuola, federe e biancheria in caso di dermatite accertata. Liceo Einstein, sul marciapiede davanti allo scientifico il capannello di genitori si fa via via più fitto. «Meno male che ce l’hanno detto - commenta una mamma - altrimenti chissà che succedeva». «Non è molto contagiosa - spiega un’altra mamma che è anche medico - per prendersela bisogna stare a contatto diretto, pelle contro pelle». O dormire nelle stesse lenzuola, come presumibilmente è successo ai due ragazzi, che sono fratelli. La raccomandazione per prevenirla è una sola: lavarsi con acqua e sapone. Guarda caso la stessa che ha potere sul virus A. La scabbia però pareva scomparsa, una malattia d’altri tempi. Confinata nel periodo del dopoguerra quando le condizioni igieniche erano quelle che erano e non ci si alimentava in modo completo come adesso. Si chiamava anche «rogna». Gli esperti dicono che da un po’ di anni a questa parte si ripresenta a ondate. «Nel duemila ci fu un’epidemia al Niguarda e un intero reparto venne chiuso - ricorda Renato Sali dermatologo del centro Mts (malattie a trasmissione sessuale) della Asl -. L’anno scorso ci sono stati 129 casi, quest’anno si è arrivati a 99. Ma i numeri reali sono almeno il doppio. Perché se è vero che pediatri, medici e comunità hanno l’obbligo di denunciarne i casi, non sempre questo avviene. I sintomi possono confondere e allora si parla di “scabbia sospetta”, in questo caso non c’è obbligo di denuncia». Come si manifesta? «Con prurito fastidioso, soprattutto la notte - spiega Sali -. Le zone più colpite sono polsi, mani, piedi, talvolta anche i glutei e l’addome. La scabbia è provocata da un acaro che si infila sotto la pelle e scava un piccolo cunicolo. Lo specialista se ne accorge, se ha un dubbio ricorre al microscopio per individuare l’acaro, le uova o le feci». Come si trasmette? «Per contatto diretto o per via sessuale ma una stretta di mano non basta, anche gli indumenti infetti possono contagiare, magliette, biancheria o lenzuola. L’acaro però non sopravvive più di due giorni lontano dall’uomo, si nutre di tessuto corneo, il tempo di incubazione è di due settimane». Una volta diagnosticata, la scabbia è facile debellarla. L’acaro è sensibile a caldo sopra i 40 gradi e al freddo.

Lavare i vestiti in lavatrice è sufficiente per sterilizzarli. E la cura? Basta la pomata giusta. Ci si può rivolgere nei reparti di dermatologia di via Pace o al San Paolo, nei 23 centri specializzati ambulatoriali (Icp) o nei Mts (centri per malattie a trasmissione sessuale).

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