Dagli Sforza ai napoletani I lombardi visti da Brera

Da oggi in edicola con «Il Giornale» un volume firmato dal più prestigioso giornalista sportivo

Stefano Giani

Prima che il Bossi fosse, fu il Brera. Anzi, Gioanbrerafucarlo. Perché Padania nacque dalla Montblanc o dalla Olivetti del giornalista di San Zenone Po, non nuovo a coniare termini di successo. Uno su tutti quell'«abatino» con cui marchiò a vita il campione del Milan, Gianni Rivera. Ebbe l'occhio, anzi la penna lunga anche in geografia, inventando un nome che avrebbe fatto strada. Eppure la Padania, la «sua» Padania, esce da quel libro, Storie dei lombardi, in edicola da oggi con Il Giornale a 9 euro oltre al prezzo del quotidiano.

Storia e storie. Due parole che non sono sinonimi anche se sembrano. Brera, appassionato della disciplina - quella con la esse maiuscola - si trovò più a suo agio con le avventure che da questa invece uscivano. Frammenti. Racconti sui dettagli. Usi e costumi. Personaggi localmente illustri. Luoghi. Con una caratteristica comune. La regione in cui è nato e della quale non ha mai smesso di sentirsi profondamente parte. Avrebbe voluto insegnarla, la Storia, Gioanbrerafucarlo. Ma il destino decise che avrebbe dovuto raccontare di uomini in calzoni corti che rincorrevano un pallone.

Siccome però nella scrittura non esistono monopoli, si cimentò anche in qualcosa che non fosse lo sport nazionale. Un romanzo - Il corpo della ragassa - nacque nel volgere di un'estate. Poi, avendoci preso gusto, un altro. Oltre a queste Storie dei lombardi dove emergono i ritratti di Francesco Sforza e Fanfulla da Lodi accanto a quelli di tipologie nostrane dei tempi che furono. Come le mondine, parola - anche stavolta - solo italiana. Pertanto intraducibile. Ma legata a quel mestiere tremendo, chini nelle risaie. Storie di acqua. Storie del Po. Un genitore per lo scrittore che non smise mai di considerarlo un traditore. E un covo di mostri.

Lo stralcio sullo storione di sette metri, pescato per porre fine alle scempio che le sue fauci facevano di tutto ciò che sguazzava e additato ai bambini come la creatura che li avrebbe divorati se fossero stati cattivi, rappresenta la Bassa degli anni Venti del Novecento. Ma forse nemmeno Brera intuì che il nome di quel pesce era nel suo destino in una variante semantica. L'accrescitivo di storie. Quello che i «suoi» giornali gli avrebbero chiesto più volte per raccontare il calcio. Lo stesso termine che egli stesso usa, in questa accezione, pure nel libro.

Insomma, Storie dei lombardi è un viaggio attraverso i personaggi del Medioevo che hanno attraversato la regione. Da Colleoni al Carmagnola. Aneddoti di guerra e d'amore. Di adulteri, come quello della povera Beatrice, finita sulla forca con il suo amante. In anni in cui a Milano si veniva giustiziati. E ci sono perfino i napoletani che, come ben si sa, lombardi non sono. Se non altro, di nascita. Ma in molti finiscono per esserlo almeno di adozione. E da oltre mezzo secolo le relazioni si sono incrociate.

Hanno alimentato sfottò, bilaterali s'intende, declinazione scherzosa del disprezzo. E proprio questo vicendevole senso di mancata stima reciproca tiene vivo un bizzarro rapporto inquieto di cui Brera descrive la «sue» origini.

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