C'è Steno Molteni, un giovane cronista del settimanale di nera La Notte (che in realtà era un quotidiano del pomeriggio, ndr), c'è l'amico poliziotto della Squadra Mobile Scimmia (quasi come un famoso locale jazz sui Navigli) poi un'auto maserati modello Ghibli - alla stessa maniera di un ballerino by night di qualche tempo fa. Quante piccole grandi tracce della Milano anni Ottanta e Novanta sulle pagine del romanzo. Chissà, semplici coincidenze; oppure forse il risultato del lavorio misterioso di un immaginario collettivo che ancora gravita. E che potrebbe avere fatto da «suggeritore» per questa storia. Già, proprio così.
Benvenuti nel microcosmo de Il caso Kellan (Baldini Castoldi, pp. 323), l'ultima fatica letteraria - dopo Il clima ideale (e un libro-inchiesta sulle banche a quattro mani con Andrea Greco) - di Franco Vanni, cronista di giudiziaria del quotidiano la Repubblica e scrittore. Il volume uscito da pochi giorni «sta già prendendo piede tra i lettori forti di gialli», conferma soddisfatto l'autore. In effetti di giallo gradito si tratta - sui social se ne parla copiosamente - Ci sono tutti gli ingredienti del genere, e lo stile pure. Detto in soldoni: si racconta di Steno e Scimmia appunto, impegnati a seguire una pista per cercare la verità sull'omicidio del figlio diciannovenne del console americano; parallelamente si muovono il padre del ragazzo e il cuoco vietnamita Han che lavora per la Cia. Il finale è con sorpresa. Clic, fotografia del cronista di questa «avventura». «Volevo creare un protagonista che conoscevo già - spiega Vanni - Un giornalista, o almeno come dovrebbe essere, vivere e poter lavorare». Molto tempo a disposizione, con un amico agente e una vita con lati più piacevoli, magari - perché no - belle donne e un hotel dove stare. Sulle qualità non si discute: bravo, onesto, scrupoloso. No, non ci si aspetti un'opera morale, non è narrativa che educa. Ma l'autore, attraverso i protagonisti, che si trovano a indagare pure nell'ambiente dell'omofobia, condanna duramente «quella mentalità assurda, gretta e inaccettabile che ha portato all'atto criminale». In tutto ciò si sente il profumo dei maestri del giallo, da Scerbanenco a Carofiglio, passando per la Tey, «i miei preferiti», precisa. E l'idea di una Milano metafora di una realtà che non fa sconti e prima o poi presenta il conto. «Nel libro è una città sotto la neve - dice - una scelta funzionale alla trama». Mentre la pioggia lava il sangue (dunque le prove), la neve lo copre, (conserva). Nella narrazione, dove la violenza è rappresentata poco o niente, la scrittura è veloce e leggera; la vicenda appare «come una passeggiata che a un certo punto rallenta per lasciare spazio e respiro alle descrizioni, agli approfondimenti». Ultime pagine.
Non mancano i ringraziamenti per l'editing ad Alberto Rollo, oggi consulente Mondadori.
E una dedica più bella di quella all'inizio, nero su bianco: «Sento dire che scrivere un libro è come avere un figlio - conclude lo scrittore Franco Vanni -. Questo non è vero. Adesso che sono papà posso dire che avere un figlio è molto più bello ed emozionante».
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