Quindici anni a San Vittore, senza mai una chiacchiera, un sospetto, una malignità. Poi la denuncia di un giovane detenuto, le indagini e don Alberto Barin si trasforma, come il «dottor Jekyll e mister Hyde», in un bruto che ricatta, molesta e violenta giovani detenuti da almeno cinque anni. Un'accusa infamante che ha portato ieri all'arresto del sacerdote, condotto poi nella struttura di Bollate.
Una storia limpida quella di Barin, 51 anni, spedito nel 1997 dal cardinale Carlo Maria Martini, di cui godeva massima fiducia, insieme a Luigi Melesi a sostituire Giorgio Caniato, appena nominato «Ispettore generale» dei cappellani. Un incarico in cui si getta anima e corpo, soprattutto quando, nel 2004, don Luigi viene tradito dalla salute ed è costretto ad abbandonare l'ufficio. Da allora tutti i detenuti, che in certi momenti sono anche più di 2.000, ricadano sulle spalle di don Alberto. Un impegno profuso con grande energia fin dalle 8 del mattino, quando il sacerdote varca le soglie di San Vittore per ricevere il «mattinale» con l'elenco dei «nuovi giunti». Una rapida occhiata, poi di corsa a celebrare la messa delle 8.30 al 3°, 5° o 6° raggio, tutti i giorni escluso il martedì e giovedì quando si reca nel reparto femminile. Poi iniziano i colloqui (mattina e pomeriggio) in un ufficio al 3° reparto.
Qui sarebbero avvenuti gli «agguati» denunciati e poi filmati da telecamere nascoste. Don Alberto infatti riceve i detenuti che hanno sempre qualcosa da chiedere: qualche volta sapone o sigarette, spesso le questioni sono molto più serie. Il cappellano ha infatti un peso importante nell'avvallare, con le proprie relazioni, le domande per ottenere arresti domiciliari, sospensione della pena o semilibertà. E a questo punto don Alberto forte del suo potere avrebbe fatto scattare il ricatto «Ti aiuto se poi tu sei gentile con me». Squallidi rapporti sessuali consumati fugacemente nello stesso studio all'interno del carcere, ma anche nell'abitazione che il ministero di Grazia e Giustizia mette a disposizione del cappellano appena fuori il muro di cinta.
Gli abusi emergono all'inizio dell'estate quando un giovane detenuto africano si reca dagli agenti per denunciare le violenze subite da un altro detenuto. E anche da sacerdote. La sezione di polizia giudiziaria della «penitenziaria» avvia gli accertamenti, poi avvisa il pm e viene affiancata dalla squadra mobile. Vengono piazzate telecamere negli spazi in uso al cappellano e le immagini confermano gli orrori denunciati. In breve sono individuate sei vittime, africani tra i 22 e i 28 anni, cinque confermano le molestie, uno nega.
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