I chiaristi lombardi che aspettano di rivedere la luce

Nella comunale Villa Gianetti una preziosa raccolta di pittura e l'intero archivio De Rocchi «Ma mancano i guardiani ed è inaccessibile»

Se esiste il genius loci, Saronno è depositaria di quello spirito lombardo che ama le cose sussurrate e fatte con cura e che somiglia tanto al paesaggio delicato, non troppo urbanizzato ma nemmeno agreste, attorno al suo celebre Santuario, con la cupola di Gaudenzio Ferrari. E' in questa città che è nato e sepolto Francesco De Rocchi (1902-1978), uno dei padri del Chiarismo, ed è qui che è stato aperto, una dozzina di anni fa, il Centro Studi dedicato al movimento artistico. L'elegante Villa Gianetti – una delle tante residenze patrizie che punteggiano la zona – ospita tutto l'archivio Francesco De Rocchi, che comprende importanti opere del pittore, tra cui il notevole «Autoritratto»¸ otto olii su tela e i quadri degli anni Quaranta e Cinquanta. Lo decise lo stesso pittore di lasciare alla città natale una nutrita collezione di opere in comodato d'uso e alcuni effetti personali: in una sala, in modo suggestivo, è anche ricostruito lo studio che aveva in corso Garibaldi, a Milano. Negli ultimi due anni, poi, il centro ha attirato anche gli eredi del collezionista monzese Walter Fontana che hanno donato un bel corpus di opere di pittori chiaristi lombardi, tra cui Angelo Del Bon, Umberto Lilloni e Adriano Spilinbergo. Insomma, a Saronno, in questa villa patrizia oggi di proprietà del comune, c'è forse il nucleo più nutrito (e di maggior valore) del Chiarismo, un tassello importante della nostra storia artistica. «Se c'è una pittura “lombarda“ nel Ventesimo secolo, è proprio il Chiarismo, che non a caso è definito “Chiarismo Lombardo”», ci spiega Elena Pontiggia, storia e critica d'arte che ben conosce il Centro Studi di Saronno. Il Chiarismo pare influenzato dal meteo della nostra regione, capace di declinare in maniera così peculiare il pennello di molti artisti di inizio Novecento: «Qualcosa delle nostre luci chiare, intinte nella nebbia e mai violente, è rimasto in questa pittura, che si riallaccia alla tradizione lombarda, dal Piccio a Gola, e ancora prima ai pittori giotteschi del Trecento», continua Pontiggia. È piccolo, il Centro Studi di Saronno, ma significativo: sono tre sale in cui troviamo una pittura che, come ci spiega Elena Pontiggia, «si è definita a Milano verso il 1930 e ha avuto il suo momento culminante fra il 1932 e il 1934, intorno al critico Edoardo Persico. È una pittura che si presentava con toni chiari e luminosi, senza chiaroscuro, con ombre dipinte direttamente col colore. I suoi protagonisti erano Del Bon, Lilloni, De Amicis e Spilimbergo e, ovviamente, De Rocchi». Dispiace allora constatare che i quadri e i documenti siano quasi inaccessibili. La famiglia De Rocchi e gli eredi di Walter Fontana hanno donato opere di pregio, i quadri sono stati allestiti con rigore scientifico, le opere sono ben tutelate e dotate di sistema di allarmi, ma purtroppo non visitabili se non dalle scolaresche della zona. Il problema? Manca una guardiania e del personale fisso che garantisca l'apertura regolare del museo. Ad eccezione di alcuni laboratori, avviati grazie al contributo della Fondazione Cariplo, per incentivare le visite guidate di bambini e ragazzi delle scuole locali, il Centro Studi Chiarismo di Saronno è chiuso al pubblico.

O meglio, è visitabile solo su appuntamento (02.96710358). Questo piccolo scrigno di arte lombarda, situato in una bella villa patrizia, con un parco, in una città che già gode di turismo culturale e religioso, meriterebbe davvero di più.

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