Il ladro che rubava per sé trasformò il fumetto in mito

Allo spazio Wow memorabilia, copertine e oggetti che ripercorrono le gesta del complice di Eva Kant

di Stefano Giani

Angela Giussani abitava in Cadorna. Aveva poco meno di quarant'anni e ogni giorno, vedendo i pendolari affollare i treni delle Nord, si chiedeva che cosa mai potessero portarsi in tasca da leggere, per ingannare il tempo del viaggio. Diabolik nacque così. Un po' per scherzo. Un po' per sfida. Con un passato da modella alle spalle e un editore di nome Gino Sansoni che, dopo averla assunta, l'aveva pure sposata, Angela imparò l'arte e non la mise da parte. Reclutò la sorella Luciana di sei anni più giovane e fondò Astorina, la casa che diede corpo e voce a uno dei ladri più simpatici e popolari della carta stampata.

Proprio quel bizzarro interrogativo su un giornalino che stesse nelle giacche dei viaggiatori condizionò la scelta del formato. Tre disegni per pagina. Campi lunghi. Bianco e nero. E il fumetto entrò esattamente dove Angela voleva che andasse. Fu una rivoluzione di gusti e costumi. Ai tempi, le strisce erano considerate roba da ragazzi. Diabolik contribuì al riscatto da quel ghetto ingiusto e si conquistò un pubblico fatto di adulti, esibendo vignette rettangolari. Un ladro, all'occorrenza anche assassino, che rubava ai ricchi non per dare ai poveri, ma per vivere una vita agiata. Filosofia politically tutt'altro che correct, ma all'epoca aveva il suo fascino. Grazie anche a Eva Kant, compagna e complice di tante rapine. La coppia era inseguita dal poliziotto gentiluomo Ginko che, nemmeno a dirsi, falliva puntuale la cattura dell'implacabile Diabolik.

L'unica volta che ciò accade, l'ingenuo poliziotto fa rinchiudere il ladro mascherato in un carcere inviolabile, ma il furfante si toglie il costume ed esce indisturbato mostrando il suo vero volto. E la rincorsa riprende senza fine. L'inacciuffabile malfattore si era affrancato da una schiera di colleghi mostrando il lato egoista del furto. Fantômas. Arsenio Lupin. Za la Mort. Lui rubava per sè. E ci riusciva perfettamente.

Diabolik faceva rima con i suoi tempi, ma dall'attualità non è mai rimasto estraneo. Pur essendo un disegno, prese curiosamente posizione quando si trattò di difendere la legge sul divorzio. Non ha esitato a dire la sua perfino sulla mafia e l'omosessualità. Lui, etero indiscusso. Impenitente. Mai sfiorato dal dubbio. Ha minacciato chi abbandona gli animali con quello sguardo aggrottato e severo, che punisce e non perdona. Ha condannato il doping. Anche per questo, il fuorilegge è parte di noi. Perfettamente calato nella storia d'Italia in quest'ultimo mezzo secolo. E non ha smesso di far parlare di sé abbattendo la cortina che porta un fumetto sul grande schermo.

Al cinema arrivò nel '68, anno di contestazioni e femminismo. Reggiseni all'aria e speranze di parità fra i sessi. John Philip Law (Polvere di stelle di Alberto Sordi e Cassandra crossing di George Cosmatos) rubava e se la spassava con una biondissima Marisa Mell, beffando ripetutamente l'ispettore Michel Piccoli che era dovuto scendere a patti con Adolfo Celi, re del crimine organizzato, pur di sperare nella cattura del malvivente. Il regista Mario Bava aveva voluto calare Diabolik nel tessuto sociale più profondo, ma il segnale di un mito incrollabile era sottolineato dalle imitazioni. Comiche e allegoriche. Johnny Dorelli aveva indossato la celebre maschera per infestare la Costa azzurra. Un Dorellik tutto da ridere ridimensionava un farabutto che aveva conquistato l'Italia intera. Come un Garibaldi in bianco e nero.

Da sabato 18 una mostra a Wow spazio fumetto incrocia le varie declinazioni di un personaggio che è mito. Società. Costume. Arte. Cultura. E, a suo modo, storia. La nostra e la sua. La Jaguar, oggetto del desiderio a quattro ruote anni Sessanta. E i gadget, simbolo di un merchandising che fa rima con il nuovo millennio. In mezzo ci sono le carte da gioco. Le copertine storiche. Le foto di Angela e Luciana che Diabolik lo plasmarono con la loro mente. Affacciate su piazza Cadorna in un giorno di pioggia e di fretta. In nome di un treno rincorso che, all'improvviso, offre il riposo e arresta il sudore.

E l'orologio che fugge. Finiva lì. Su quel sedile. Finalmente calmi. Quando Diabolik usciva dalla tasca e regalava mezz'ora di svago. Lasciando sognare una bionda su misura. Gioielli. E ricchezza. Ideale nazional popolare.

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