Lear schiavo d'amore e un nuovo Prospero Riecco Shakespeare 2.0

All'Elfo l'avanguardia scenica di Marcido Al Piccolo «La Tempesta» rivisitata da Andò

Lear schiavo d'amore e un nuovo Prospero Riecco Shakespeare 2.0

Forse Branciaroli, se non ricordiamo male, ci disse (una provocazione) che i teatri farebbero bene a mettere in scena soltanto Shakespeare: il resto non varrebbe la pena. E i teatri, non esclusivamente il bravo e versatile Branciaroli, in effetti il Bardo lo venerano. Difficile non trovare sue opere in cartellone, anche a Milano: questa settimana i debutti La tempesta di Roberto Andò, con Renato Carpentieri protagonista e sette attori, produzione del Teatro Biondo di Palermo (Piccolo Strehler, dal 14 al 26 maggio) e Lear, schiavo d'amore dei Marcido Marcidorjs (Elfo Puccini, dal 14 al 19 maggio), regia di Marco Isidori, anche in scena con altri sette interpreti.

Roberto Andò, nella sua anatomia del complesso e carico di significati testo shakespeariano (del 1611) utilizza Tomasi di Lampedusa come leva, per catturarne l'essenza più vera e, dunque, eternamente attuale. L'intreccio, a larghi tratti, è noto. In un'isola del Mediterraneo, forse Vulcano, naufraga una nave con a bordo il re di Napoli Alonso, suo figlio Ferdinando, suo fratello Sebastiano e il duca di Milano, Antonio. Sull'isola vivono il mago Prospero (il protagonista, Carpentieri), duca spodestato di Milano, sua figlia Miranda, lo spirito Ariele e lo schiavo Calibano. Tutto succede perché Prospero lo vuole, la sua magia può creare una tempesta, può sconvolgere menti e cuori, raddrizzare torti. L'autore del Gattopardo è servito ad Andò - che sul letterato siciliano ha scritto un film imperniato sugli ultimi anni di vita - per dare indicazioni su come far prendere forma a Prospero, in questo spettacolo di pietosa serenità, laboratorio di una speciale esplorazione dell'anima» (dalle note di regia). Lo spettatore seguirà questa Tempesta con un grato pensiero al fondatore del teatro, Giorgio Strehler, che proprio per il Piccolo fece, nel 1977, un'epocale versione d'un capolavoro che getta luce da quattro secoli.

All'Elfo Puccini, invece, vediamo una delle sempre sorprendenti macchine da sogno di Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa, brand di avanguardia teatrale operativo (e necessario alla salute delle scene) fin dal 1986. A dominare, è l'amore, rileva il titolo, immediato e con riferimento - non crediamo un caso - a uno dei massimi romanzi di Somerset Maugham. L'amore è schiavitù, da svelare in ogni aspetto, cavalcando le parole del Bardo, tradendole anche, e facendone una torcia per illuminare le sorprese, tra le quali le magnifiche scenografie di Daniela Dal Cin.

Sì, forse ha ragione l'intelligente provocatore Franco Branciaroli: Shakespeare basta e avanza, alla gran giostra dei teatri. È un mondo sempre nuovo, che si può ricreare a piacimento, che nasconde terre inesplorate, regioni dove lo sguardo non è ancora arrivato, lande di bellezza ineguagliabile.

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