Pisapia, Salvini, Dambruoso, Lupi. La girandola di candidature è partita ed è difficile trovare qualcuno che conosca i protagonisti di questa fase meglio di Mario Mauro, l'ex ministro della Difesa che è nato a San Giovanni Rotondo, ha studiato alla Cattolica e vive nel quartiere Isola.
Mauro, che succede a Milano? E cosa vede da qui a un anno?
«Milano è l'unica città italiana che ha un vero elettorato d'opinione e ha sempre anticipato gli scenari nazionali. Il Pri di Spadolini, poi Craxi, la Lega con Formentini, poi Forza Italia. A Milano, fra un anno si vedrà se è possibile un ripensamento del centrodestra, che ad oggi non c'è».
Mauro è fra i più noti politici aderenti a Comunione e Liberazione. A Milano , con Forza Italia stato eletto per due volte al Parlamento europeo, dove è stato vicepresidente . Oggi è senatore e presidente dei Popolari per l'Italia. A Milano ha un consigliere comunale e uno regionale.
Salvini sogna di fare il sindaco. Potrebbe essere lui il preludio di un nuovo fenomeno?
«È legittimo che si candidi. È in ascesa e la sua candidatura non è forte, è fortissima, quanto insufficiente. Salvini non è espressione di una coalizione che possa vincere a Milano. Marca un elettorato ma non apre».
È per questo che Pisapia auspica la sua candidatura?
«Pisapia è in vantaggio perché non ha fatto niente. Il dinamismo arancione è finito in un immobilismo tipico di una certa sinistra».
Ma almeno è riuscito nel suo progetto di tenere insieme alta borghesia e centri sociali?
«Pisapia trova forza nel non aver fatto niente, quindi potrebbe non aver deluso nessuno. Ma quando in Consiglio qualcuno si è mosso bene, e penso all'iniziativa di Matteo Forte sulle moschee, l'opposizione ha spuntato vittorie».
Un candidato del Pd la convincerebbe?
«Che il Pd fosse inadeguato lo dimostra la scelta di Pisapia, candidato in quanto non ce ne sono altri. La mia vita politica è stata tutta improntata all'idea di non aver ceduto al Pd. Ma questo non basta. Serve una proposta che oggi non c'è, un candidato che sappia costruire un progetto vero».
Un renziano?
«Milano, prima ancora dell'Italia, sa che il renzismo è solo fuochi d'artificio e annunci. Tra un anno il deficit della politica renziana sarà già noto».
Ma lei parla da attore della politica, o è solo un'analisi?
« (Ride) Parlo da cittadino dell'etnia maggioritaria a Milano, quella pugliese. E parlo da residente all'Isola dal 1980. E dico che Pisapia non può essere, anche per quello che non ha fatto per l'emergenza Seveso».
Dunque cosa propone?
«Giro per Milano ogni giorno, vedo un grande movimento di persone che vogliono dare dinamicità a una città ferma. Chi debba interpretarlo ora non è dato sapere ma tutto questo farà emergere chi ha buone idee, in quel civismo tipico di Milano, fin dai caffè del Sette-Ottocento».
Parliamo di un'area civica alternativa alla sinistra?
«Bisogna attingere a un candidato di democrazia civica. Milano è la città delle università, delle professioni, dei centri culturali. Penso a quel mondo. Ci sono presenze non più trascurabili. I giovani, le donne, il ceto imprenditoriale».
Ma quali sono gli interlocutori di questo mondo di cui parla?
«Uno dei nomi più credibili per Milano è quello di Silvio Berlusconi, che ha dato tanto a questa città».
Il suo collega Albertini? Qualcuno dice che si è mosso troppo.
«Lo abbiamo votato per il Quirinale, è un magnifico senatore e il suo nome è legato a un tempo di prosperità per Milano. Non so quanto senso abbia rimetterlo nel caleidoscopio dei candidati».
Lupi dal caleidoscopio si è tirato fuori davvero?
«Maurizio è un amico e non ho motivo di contraddirlo. Non è candidato, è una constatazione».
Del suo gruppo fa parte Stefano Dambruoso. Qualcuno fa anche il suo nome.
«È anche un milanese come me. Ha grande competenza e ha avuto ruoli di responsabilità. Penso che sia da non mettere in discussione il suo nome. Il problema comunque è il cartello delle forze in campo».
Lei è favorevole alle primarie?
«Il problema vero è la partecipazione alla vita pubblica. Che poi passi dalle primarie o dalle preferenze è secondario».
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