A Locarno il Pardo d'onore a Cimino

nostro inviato a Locarno

«Più che un leopardo, sembra un pollo. E invece dovrebbe essere un animale feroce. Uno di quelli che sbrana». Design da correggere. Michael Cimino, 76 anni suonati e tanta guasconeria come un ragazzino, ritira il premio alla carriera e non le manda a dire agli organizzatori. Piazza Grande è gremita. In proiezione c'è Floride , l'ultimo elegantissimo e garbato lavoro di Philippe Le Guay, prima che vengano rispedite sul maxi schermo le immagini de Il cacciatore , il capolavoro che al regista valse ben cinque Oscar. Detto da un architetto mancato, il leopardo con le fattezze del pollo assume un colore diverso. Fatto di caustica ironia che la piazza applaude. E Giove pluvio, se è svizzero, non deve averla presa benissimo. Ha lasciato che il primo film fosse proiettato sotto il sereno scatenando gli elementi proprio all'avvio delle prime scene del Cacciatore replicato in suo onore. Pena del contrappasso che Cimino ha dovuto sopportare suo malgrado, restando giocoforza incollato sulla sua sedia sotto l'acqua torrenziale che ha smesso di cadere a proiezione conclusa. «Una signora gentile mi ha portato una coperta, ma la mia voce se n'è andata» ha spiegato ieri, dopo la notte brava. Mentre Philippe Le Guay, regista in platea davanti al maestro, non lesina la satira. «Con il meteo della notte, ho vinto io».

E, con molta cordialità, il cineasta americano si è offerto alla platea che lo ha incontrato il giorno dopo. Sotto il sole elvetico. Lancia al pubblico le poche parole di italiano che conosce, lui che è italo-americano come tanti De Niro, Scorsese, Pesci, Di Caprio. Il tono non è quello del divo. «Questa non è una classe. Non sono un insegnante perché non ho nulla da insegnare». Breve preambolo per impostare la chiacchierata sull'informalità. In fondo Cimino è un antidivo. Un cacciatore di film. Uno scrittore. «Un architetto frustrato. Ho sbagliato strada e sono finito nel cinema. Come sia successo, non lo so spiegare. Forse ho preso una deviazione e non ho più trovato la via giusta. Ho cominciato girando spot di auto. Era un ottimo compromesso per trovare belle macchine e belle donne. Poi ho perso la bussola».

Per lui il cinema è «anarchia controllata. Il caos. Io devo essere venuto da uno strano asteroide». Ma, dopo aver lasciato al loro destino gli strumenti del designer, si è affezionato alla penna. «Scrivo. Ho un'infinità di cose a casa, ma non so che cosa farmene. Ho una stanza ordinata ma è una montagna confusa di cartacce. Vivo in California. Zona di terremoti. Ci penseranno loro a mettere tutto in ordine». Sono questi i progetti futuri di Cimino che non ha fretta di tornare sul set perché il lavoro comincia dai personaggi. «Scrivo di persone che conosco. Senza personaggi non ci sono storie. Il cinema in fondo nasce dalla realtà per trasformarsi in finzione».

Un'arte mista. Al confine. Tra vero e falso. Un grande ventre di celluloide che ospita pittura. Azione. Musica. Parola. Letteratura. «Il cinema è tutto, non una cosa soltanto. Ma oggi Hollywood è effimera perché molti protagonisti non sono modellati su persone reali. Così invecchiano con rapidità. E, poco dopo averli visti, sembrano già vecchi. D'epoca». Un po' come certi ambienti surreali e strani del suo amico Sam Peckimpah, al quale Locarno dedica una retrospettiva. Maledetti sulla strada del West. O come tante scene di guerra, sulle quali bisognerebbe mettere la parola fine. Per sempre.

«Il cacciatore è stato girato per questo. Tutti i conflitti sono difficili da capire. Sono la follia degli anziani di cui i giovani pagano le spese. Ora è il momento di finirla. Il Vietnam di ieri vale tanti Vietnam diversi di oggi».

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