"Milano per ripartire deve investire in civiltà e bellezza"

Il filosofo guarda allo sviluppo della città e lancia il progetto «Venere contemporanea»

"Milano per ripartire deve investire in civiltà e bellezza"

L'ultimo progetto, quello della Fondazione creata all'indomani della tragica scomparsa della sorella Alessandra, inizia con una citazione di Dostoevskij: «L'umanità può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non si potrebbe più vivere, perchè non ci sarebbe più niente da fare al mondo». La Bellezza e l'Estetica, del resto, sono sempre state il pane di Stefano Zecchi, filosofo, scrittore e per decenni docente all'Università di Milano. L'idea che sta alla base, recita lo statuto, nasce dall'esigenza sempre più pressante di promuovere una cultura che in tutti i settori - nel rispetto dell'uomo, della democrazia e dell'internazionalità - sottolinei nella contemporaneità il valore della bellezza nel suo legame con i diversi campi del sapere. Ricerca, didattica, formazione e comunicazione sono gli ambiti privilegiati da Zecchi per portare avanti quella che considera una rivoluzione copernicana in un mondo sempre più imbarbarito e diseducato all'ascolto e alla contemplazione. I destinatari sono il mondo del lavoro, le imprese, i giovani, il mondo della cultura e della politica.

Professor Zecchi, la bellezza può aiutare la ripresa dopo questo anno e mezzo di blackout?

«Nella bellezza si trova la qualità dell'essere e per ripartire bisogna impegnarsi a costruire cose belle, ovvero progetti che abbiano un senso profondo e stimolino la discussione, l'aggregazione e la crescita. Oggi viviamo in una società basata sulla quantità e sulla velocità delle informazioni, però la bellezza non sta nella quantità ma nella qualità dei contenuti».

Milano prima del Covid era una fucina di progetti sul territorio: dalla mobilità al social housing, dalla Città della scienza nell'ex area Expo, al piano degli scali ferroviari. C'è bellezza in questo?

«Milano ha la fortuna di possedere una realtà culturale e imprenditoriale che va avanti da sola e potrebbe fare tranquillamente a meno della pubblica amministrazione. Però è una città che negli ultimi anni si è inaridita e inginocchiata su un sentimento pragmatico legato al solo business; così i progetti vanno avanti in ordine sparso senza una governance che metta in rete le diverse anime della città e le faccia dialogare. Investire nella cultura del bello vuol dire investire sul dialogo, e non aprire musei o riorganizzare pinacoteche. Il punto è che, un tempo, questo sentimento a Milano esisteva eccome».

Dopo Expo, Milano è diventata una città turistica che ha portato migliaia di stranieri; non c'è del bello in questo?

«Dipende da come viene questo fenomeno viene gestito. Expo è stato certamente un grande successo, ma gli amministratori che oggi se ne ammantano dimenticano che ai tempi delle giunte Albertini e Moratti contrastarono in tutti i modi quel progetto. Pisapia era contrario, e la sinistra mise i bastoni tra le ruote anche ai progetti nell'area delle ex Varesine. Anche oggi in città vedo l'assenza di un coordinamento politico delle energie e delle risorse, ma solo interventi demagogici mossi da un'ideologia pauperistica. Il centro storico? É abbandonato allo spopolamento e all'incuria e le tanto sventolate periferie sono, per chi ci vive, realtà prive di bellezza e di sicurezza».

La sua Fondazione sta portando avanti un progetto ribattezzato «Venere contemporanea», di che si tratta?

«É un progetto di didattica, seminari e convegni che vede coinvolta l'Accademia del Lusso di Milano, istituzione che si occupa di alta formazione in modo innovativo e creativo. Abbiamo interpellato gli studenti per una serie di progetti con l'Associazione di via Spiga per far conoscere alla città e al mondo la storia e la bellezza di questa via del Quadrilatero che, prima di essere un crocevia di griffe di moda, era una strada di botteghe d'arte, laboratori di artigiani e storici ristoranti».

Che cosa faranno gli studenti?

«A settembre in via Spiga ci sarà una sfilata dei loro progetti di design e alto artigianato, capi sartoriali creati dagli studenti all'insegna della bellezza sostenibile. Si terranno lezioni e un convegno. A ottobre una nuova iniziativa vedrà i negozi di via Spiga ospitare mostre di manichini d'autore creati ancora una volta dagli studenti. Sono iniziative simboliche finalizzate a restituire alla città una via storica che nei decenni si è andata spopolando e spersonalizzando».

Lei è stato protagonista di 60 anni di cultura milanese. Ha sogni o rimpianti?

«Mi amareggia constatare che la cultura a Milano abbia vissuto periodi ben più fertili di quello di oggi. Il problema di fondo rimane la mancanza di dialogo che permetterebbe alla città di essere una vera eccellenza mondiale; abbiamo nove università che corrono in ordine sparso, decine di istituzioni musicali che non si parlano, anche in ambito scientifico mancano istituzioni che fondano la ricerca con la cura».

E il design, la moda, non portano bellezza?

«Si potrebbe fare molto di più, basti pensare all'assenza di veri musei che li raccontano. Quest'anno è stato presentato il museo del Compasso d'oro, che pare una replica della Triennale.

Io per Milano nutro ancora il sogno di una grande biblioteca universale e multimediale come era nel progetto di Umberto Eco, una realtà che sia al centro della discussione e dello sviluppo della città nella direzione della vera bellezza».

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