Il mito di papà Frank rivive nelle note di Dweezil Zappa

Lunedì sul palco dell'Auditorium un concerto-evento con la musica che celebra i 50 anni di «Freak out!»

Simone Finotti

Non è mai facile essere «figlio di». Se poi tuo padre si chiama Frank Zappa, la cosa si fa complicatissima: chitarrista, cantante, compositore, direttore d'orchestra, regista, produttore, Zappa fu tante cose, ma soprattutto scrisse, suonò e cantò di tutto, sempre nel suo modo inimitabile. Uno che giocava con regole tutte sue, croce e delizia di chi vive di etichette. A quel punto la strada è segnata: se il mito non si può replicare, lo si può almeno far rivivere. È quello che fa (molto bene) Dweezil, talentuoso secondogenito del genio italoamericano, nato Ian Donald Calvin Euclid Zappa perché, bizzarrie americane, l'ospedale rifiutò di registrare il nome Dweezil, troppo unconventional. Era il 1969 e papà Frank, a nemmeno 30 anni, era un'icona di un mondo che cambiava, con all'attivo ben sette lp. A cominciare da Freak out! (1966), il leggendario doppio album che lo consacrò come qualcosa di più del frontman dei Mothers of Invention. E che oggi compie 50 anni. Proprio da qui comincia il lungo tributo-medley «50 years of Frank» che Dweezil propone lunedì sera (alle 21) al pubblico dell'Auditorium di largo Mahler, in una serata-evento organizzata dalla Verdi in collaborazione con Barley Arts nell'ambito del progetto Dweezil Zappa Plays Frank Zappa, partito nel 2000 per suonare in tutto il mondo la musica del padre e - anche un po' - sfatare la diceria secondo cui tutti conoscono Zappa ma pochissimi le sue canzoni.

Non a caso la scaletta abbraccia tutta la carriera di Zappa, in un affascinante viaggio che ci porta avanti e indietro negli anni e tocca tutti gli stili esplorati dal musicista: pop, hard rock, progressive, demenziale, opera rock, fusion, world music, jazz, computer music, art rock. Del resto, cosa aspettarsi da uno che tra i suoi modelli annoverava indifferentemente la classica indiana e Stravinskij, Olivier Messiaen e la musica bulgara, Edgar Varèse e i canti popolari sardi e studiava i dadaisti e il sitar indostano?

Si parte con Help, I'm a Rock, cover dei Mothers (1966), per poi saltare avanti di quattro anni, quando Zappa era già uscito dal gruppo, con Chunga's Revenge (1970), e le note di Transylvania Boogie. Si prosegue con altri revival dei primi anni: It Can't Happen Here, You're Probably Wondering Why I'm Here, Harry, You're a Beast, la canzone che testimonia quanto poco Zappa amasse un certo conformismo di sinistra (vi dice nulla la frase «You paint your head, your mind is dead»?), The Orange County e Lumber Truck. La dissacrante ironia di Lemme Take You to the Beach (1978) ci proietta nell'era del Frank ormai star internazionale, mentre le successive What Will This Evening Bring Me This Morning? e Shove It Right In ce lo presentano in veste di regista di «rockumentary», in questo caso 200 Motels, del 1971. Poi via a una sequela di capolavori, fra cui la nota Catholic Girls, dall'opera rock in tre atti Joe's garage (1979) e le più recenti Noreen (1981), Inca Roads (1988), Holiday in Berlin (1991). Il cerchio degli anni si chiude con Cosmik Debris, da Apostrophe (1974), You Didn't Try to Call Me (1968), The Illinois Enema Bandit (1976), ispirata al fuorilegge Michael H. Kenyon, five-five-FIVE (1981) e Planet of My Dreams (1984), prima dei bis You Are What You Is, title track dell'omonimo doppio album dell'81 e Keep It Greasey, di nuovo da Joe's garage.

Sul palco, insieme a Dweezil, Scheila Gonzalez (sax, flauto, tastiere, voce), Chris Norton (tastiere,

violino, voce), Ben Thomas (tromba, trombone, chitarra, voce), Kurt Morgan (basso, voce), Ryan Brown (percussioni, voce), Pete Jones (stunt vocalist). Ticket alla biglietteria dell'Auditorium e su Ticketone (da 15 a 35 euro).

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