Piera Anna Franini
Domani e sabato: due serate storiche per il Teatro alla Scala. Che riavrà Riccardo Muti sul podio. Inutile ricordare che c'è stato l'assalto ai biglietti. Sono due appuntamenti molto attesi. Del resto, Muti torna a Milano dopo 12 anni di assenza, dopo un furibondo divorzio con l'ente di cui era stato Direttore Musicale per 19 anni. Lo fa alla testa della sua Chicago Symphony, in questi giorni impegnata in un'intensa tournée europea. Partenza a Parigi, quindi Amburgo, Aalborg, Vienna, Baden Baden, Francoforte, e in mezzo Milano dove l'orchestra a stelle e strisce venne ascoltata l'ultima volta nel 1981. Due i programmi, dedicato a Catalani, Strauss e Cajkovskij il primo, a Hindemith, Elgar e Musorgskij il secondo.
«Da un punto di vista musicale, la Chicago è la gioia di questi miei anni», ci ha confessato il Maestro che non distoglie, comunque, lo sguardo dall'Italia.
«Quando esco dalla sala di Chicago e ci sono 30 gradi sotto zero, e leggo sul frontespizio dell'Art Museum i nomi di Michelangelo o Raffaello, non sento più i 30 gradi. In quel momento penso che vengo da quella terra. Spero che l'identità della nostra terra non venga scalfita, che rimanga perché ha procurato cultura e bellezza nel mondo e noi dobbiamo prendere cura di questo nostro passato: fondamentale per noi e per il mondo. Tutto è partito dal Mediterraneo e l'Italia ha avuto un ruolo importante».
È un Paese dove Muti continua a lasciare tracce profonde. E le lascia laddove c'è speranza: i giovani. Quelli dell'Orchestra Cherubini e dell'Italian Opera Academy, la (sua) bottega che forgia cantanti, maestri collaboratori e direttori d'orchestra, a loro dedica un mese all'anno, e giornate che vanno dal mattino al tramonto. Proprio questi ragazzi dovrebbero unirsi all'orchestra di Teheran nel corso del prossimo concerto dell'Amicizia del Ravenna Festival, appunto a Teheran.
Quanto al riavvicinamento di Muti alla Scala, hanno vinto tenacia teutonica e diplomatica gradualità. Il colpo è stato messo a segno dal sovrintendente Alexander Pereira, che di fatto, subito, al suo insediarsi nella stanza dei bottoni, assicurò che si sarebbe impegnato a riportare Riccardo I a Milano. Lo strappo fra teatro e direttore è stato ricucito, punto dopo punto, mese dopo mese.
La prima mossa: la consegna, di persona, di una lettera degli orchestrali pronti a chiedere di tornare a collaborare con Muti. Il tutto a Ravenna, città di Muti. La notizia circola e si accendono i motori. Nel frattempo, il direttore è sempre più presente a Milano. In occasione di un suo programma per la Rai, viene sollecitato sul tema. Glissa dicendo che «alla Scala potrei tornare, ma non è il mio primo pensiero alla mattina». Però trapelano notizie, si smentisce o non si conferma, si reclama il silenzio stampa per non rompere equilibri. Due settimane dopo, è in Conservatorio, la scuola dove si è formato e alla quale dona il frac di Arturo Toscanini. Muti e Pereira si incontrano di nuovo, e questa volta la stretta di mano è immortalata. In aprile, la notizia che il Museo della Scala avrebbe allestito una mostra dedicata a Muti, per i suoi 75 anni. In giugno, Muti tornava alla Scala come spumeggiante conferenziere.
Sollecitato dall'intervistatore disse che il ritorno in quella sala era «motivo di grande commozione, anche se io non faccio vedere i miei sentimenti.
Questo teatro e città hanno fatto parte di una lunga parte della mia vita artistica. Tante cose sono avvenute sotto la mia direzione. Quello che ho dato a questo teatro e città, dunque al nostro Paese, è stato dato con una passione e dedizione totale».Non c'è dubbio. Riccardo Muti è fatto così.
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