Nel Memoriale della Shoah nasce un Muro del Pianto

Mauri e Burri, Isgrò e Kadishman: per la prima volta la mostra non solo storica, ma con quadri e sculture

Sabrina Cottone

Si chiama «Ricordi Futuri 4.0» e già il titolo dice come lo sguardo non sia rivolto solo al 15 novembre del 1938, quando fu promulgato da Vittorio Emanuele III il regio decreto-legge per la difesa della razza. «Questo presente-futuro deve essere anche la linea guida affinché gli errori del passato non si ripetano» dice Ermanno Tedeschi, curatore della mostra al Memoriale della Shoah.

L'arte entra per la prima volta non senza polemica negli spazi volutamente vuoti creati da Morpurgo e de Curtis. Come rivela il presidente, Roberto Jarach, usare il Memoriale come un contenitore ha causato colloqui movimentati con Morpurgo. «Il Memoriale non contiene, è in se stesso un contenuto» - il senso dell'obiezione -, tra i binari dai quali partirono i convogli piombati che deportarono ebrei e oppositori politici nei campi di sterminio nazisti. «Così il Memoriale non accetta donazioni di opere d'arte, sia pur di pregio» continua Jarach.

All'ingresso «Il muro Occidentale o del pianto», riedificato da Fabio Mauri con valigie di «bagagli in transito, costretti a espatriare, o portare con sé identità incenerite». Gli fa da contrappunto la parte dei giocattoli, un Topolino, un orsacchiotto, una bambola, un clown, ancora un uomo con la valigia.

«Ma a voler prevalere è uno sguardo di ottimismo» spiega Tedeschi e non a caso l'opera simbolo è «Dandelions», girasoli e farfalle di Carla Chiusano che fanno rinascere il binario e il vagone. Ci sono «Le api della Torah» di Emilio Isgrò, «Torah» di Francesca Duscià, che brucia di vita, sulle pareti il «Volto P.L.», il Primo Levi di Francesca Leoni, per terra le celebri teste di Menashe Kadishman, su un piedistallo «Anna», la bambina accovacciata vestita di rosa, scolpita da Margherita Grasselli.

Il neon «La memoria rende liberi», titolo del libro della senatrice Liliana Segre, che da qui fu deportata a Auschwitz con il padre, incombe sopra «Libri proibiti» di Manlio Geraci, dove giacciono ammonticchiati 774 libri in legno, il numero degli ebrei deportati nei primi due convogli. Imponente la scultura «In fila per uno» di Daniele Basso, nel corridoio che si allontana dal binario 21 in un gioco di specchi.

Nel cuore due installazioni multimediali: «I Binari della Memoria» di Laura Pol e il libro digitale, ricca storia di famiglia, «Io sono mio padre, io sono mio figlio» di Marco Benadì. Laura Pol ha voluto sul pavimento come su due binari foto e documenti originali, vita quotidiana ai tempi delle leggi razziali, immagini tristi e allegre che scorrono inghiottite dal muro nero. Ci sono poi tre video interviste: una è all'archistar Daniel Libeskind, che ha progettato numerosi musei della Shoah. Tutto in viaggio nel tempo.

Come sintetizza Jarach: «Ci sono in giro segnali preoccupanti. Certe posizioni sui migranti possono portare alle origini di antisemitismo e razzismo tra la gente, e cioè a individuare in una minoranza la causa del disagio della società».

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