Ora Sala vende un museo: "Meglio far cassa che arte"

All'asta un piano del prestigioso palazzo Anni '30 Il Comune: "Spiace, con la cultura non si mangia"

Ora Sala vende un museo: "Meglio far cassa che arte"

Politica e cultura vanno difficilmente d`accordo, quale che sia il governo. Da destra a sinistra, andata senza ritorno, passando per le ali estreme grillo-leghiste, tutti preferiscono spendere per infrastrutture, sicurezza, persino piste ciclabili (!), ma non - ad esempio - per un museo.
Ad esempio: cronaca di fatti recenti, ancora in corso, qui a Milano. Al numero 15 di via Giorgio Jan, non proprio in centro città, ma quasi, dal 2003 (anche se non tutti lo sanno) c`è un vero gioiello: la Casa Museo Boschi Di Stefano. È un gioiello il contenitore: un palazzo degli anni Trenta di Piero Portaluppi. Ed è un gioiello il contenuto: una selezione di 300 opere, fra 2mila, della collezione dei coniugi Antonio Boschi (1896-1988) e Marieda Di Stefano (1901-68) dedicata al '900 italiano: da Funi, Carrà e Casorati alla splendida sala Sironi, sculture di Martini, il Gruppo di Corrente, sette Morandi e sei De Pisis, i Chiaristi, gli «Italiens de Paris» - Campigli, Paresce, Savinio, de Chirico - l'incredibile «sala Fontana», fino agli spazialisti e a Piero Manzoni... Negli anni '70 i coniugi Boschi-Di Stefano cedettero il Palazzo al Comune (a prezzo di favore), regalando l'imponente collezione con l'unico impegno di esporla al pubblico. Attualmente il secondo piano è visitabile ogni giorno, grazie ai volontari del Touring Club che tengono aperta gratuitamente la Casa Museo. Ogni tanto vengono organizzate piccole mostre, molto eleganti. E proprio in questi giorni la stazione della M1 di Lima cambia nome e diventa «Lima - Casa Museo Boschi Di Stefano». Bene.

Anzi, malissimo. La notizia è che ora il Comune ha deciso di vendere il terzo piano della palazzina, utilizzato come alloggio di servizio per un alto funzionario dell'amministrazione comunale (e non come spazio espositivo). Valutato 900mila euro, sarà messo all'asta.

Per spiegare quello che sta accadendo e che ha del surreale: la famiglia Boschi-Di Stefano cede al Comune una palazzina meravigliosa e 2mila opere, tra cui moltissimi capolavori, con l'unica clausola, per la città, di valorizzare la collezione. Il Comune nulla fa, se non decidere di vendere un piano invece di usarlo, come chiede la direzione della Casa Museo, per allargare gli spazi espositivi. In più, e qui il surreale diventa grottesco, il Comune chiede ai mecenati di farsi avanti (cioè: tu compri il terzo piano da me, io guadagno 900mila euro, poi tu me lo regali così io lo utilizzo per il museo). E per finire - e qui il tutto diventa scandaloso - l'assessore al Bilancio della giunta di Giuseppe Sala, Roberto Tasca, dichiara: «L'appartamento vale una cifra importante e non possiamo, aldilà della passione per l'arte, trascurare il problema del bilancio» (secondo altre fonti: «Al di là della passione per l'arte, occorre fare cassa»). Il tutto nel silenzio del collega assessore alla Cultura Del Corno (per fortuna è stata lanciata una petizione di semplici cittadini per fermare l'asta).

Per noi, l'articolo potrebbe finire qui. Comunque si concluderà la vicenda, la Storia (non solo dell'arte) ha già abbastanza elementi per giudicare Comune, sindaco e assessore. Gente che: «Bla bla bla»... Ci resta, però, una considerazione. Quando nel 2010 l'allora ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, NON disse «Con la cultura non si mangia» (frase mai detta, una vera fake news della peggiore stampa antiberlusconiana dell'epoca, ma da allora diventata un luogo comune), i benpensanti si stracciarono i maglioncini di cashmere, starnazzando: «Arrivano i barbari!».

Ora che un omologo assessore dice, da sinistra, la stessa identica cosa - «L'arte è bella, ma dobbiamo fare cassa» - tutti zitti. Politici e intellettuali. Al Campidoglio, alla fine, non sono saliti i barbari. Ma le oche.

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