«Il pericolo è uno zoccolo duro di estremisti»

L'arruolamento degli jihadisti è cambiato. Ma il pericolo resta. E resta uno zoccolo duro di radicalismo, da cui ogni tanto spunta il «folle». Stefano Dambruoso, ex pm, è il massimo esperto italiano di terrorismo islamico, su cui ha indagato per 8 anni a Milano prima di essere inviato all'Onu e all'Ue.

Allora, Dambruoso, Milano è sempre più crocevia jihadista?

«Sì, Milano, come Napoli, Torino e il Padovano, città in cui da tempo sono radicate famiglie arabe, tra le quali, in piccola percentuale, c'è una cultura diffusa di tipo radicale».

Si può dire che c'è un estremismo diffuso?

«No, non di massa, non creiamo allarmismi. A Milano ci sono numerose iniziative che testimoniano anche un percorso di dialogo con le altre religioni. Ma si può dire che c'è uno zoccolo duro che non si perde».

La distanza geografica dai centri del fondamentalismo non affievolisce questo sentimento?

«Ci sono famiglie pronte a ospitare o ricevere persone o imam. Milano è un punto nevralgico di questo fenomeno, ma bisogna dire che ha assunto forme del tutto nuove».

In cosa è cambiato?

«C'è gente che non ha più bisogno del reclutamento, non c'è più bisogno di un imam che indirizzi e organizzi. Di qualcuno che telefoni o convochi qualcun altro».

Come avviene oggi questa pericolosa mobilitazione?

«Oggi il web è lo strumento e ha preso il posto di strutture come al Qaida che facevano da collettori. L'intelligence lo monitora da anni perché ha sostituito l'addestramento. Molti dei soggetti che sono partiti erano conosciuti, anche se non indagati, perché radicali».

Quindi si tratta di iniziative per lo più individuali?

«È il lupo solitario. Milano ha conosciuto questa realtà, che ha portato il libico Mohamed Game a farsi saltare in aria a San Siro. Aveva moglie italiana, poi convertita, due figli. Ma perde il lavoro e si smarrisce. E trova in moschea l'ambiente in cui radicalizzarsi, in sei mesi».

Il centro islamico non è più la molla decisiva?

«Capita a molte persone, anche di altre culture, di trovare in una fase della loro vita una risposta nella pratica religiosa. I centri di questo tipo li conosciamo. Su cinque, quattro sono normali, uno può non esserlo».

Per l'opposizione, Palazzo Marino sbaglia col piano che prevede aree pubbliche destinate a luoghi di culto. Non ci sarebbero sufficienti garanzie.

«Il tema moschea è molto caldo, anche per Expo e la funzione di attrazione degli investimenti che può avere. Io credo che non si sia voluto risolvere in un modo convincente, che avrebbe potuto avere una grande valenza in vista del 2015».

Di

quale soluzione parla?

«Una grande moschea avrebbe aiutato il dialogo. Milano è una grande città, dovrebbe fare come Parigi o Londra. Le moschee in scantinati o garage come ancora accade non aiuta no a qualificarla come tale».

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