Chiamatele pure le «sliding doors» dell'architettura. Come il film di Peter Howitt in cui Helen vive due esistenze parallele nel caso in cui le porte della metropolitana si fossero chiuse in anticipo o in ritardo. Ospitandola o escludendola. Le occasioni perdute, insomma. O, se preferite, ciò che poteva essere e non è stato. «Milano mai vista», la mostra di Fulvio Irace e Gabriele Neri in corso alla Triennale dove chiuderà il 22 febbraio, rappresenta le sliding doors dell'urbanistica, ovvero le ipotesi per dare un volto diverso alla metropoli.
Progetti recenti o decisamente antichi si accavallano per dare un'idea di ciò che avremmo potuto trovarci a vedere. O, semplicemente attraversare in auto. E talvolta passeggiarvi. Chi fosse cattivo potrebbe chiamarla una galleria di aborti, ma la parola ha una connotazione negativa ed esteticamente deteriore, quindi meglio il binomio di «sliding doors» aperte e chiuse per infinite diverse ragioni. Perché non si tratta di idee cestinate per bruttezza. Ci sono progetti presentati in concorsi, senza mai esiti concreti. Altri che non si sono aggiudicati il primo posto. Altri ancora accantonati o ritenuti «visionari» per il loro carattere sperimentale più che per la loro realizzabilità.
Insomma, la città invisibile. Mosaico trasversale di una metropoli «altra» rispetto all'attuale, tuttavia presente nella memoria collettiva, al punto da avere una traccia indelebile in quei disegni che ora trovano le luci dei riflettori in Triennale. Sosteneva Gio Ponti che «la bellezza è la struttura, il materiale più resistente e si oppone alla distruzione dell'uomo che è il più feroce alleato del tempo distruttore». Ma, come detto, bellezza o bruttezza sono appannaggio dei giudizi dei milanesi. Perché ben poco si può aggiungere sul piano estetico in merito all'idea, ad esempio, che in Porta Vittoria al posto dello storico e dismesso scalo ferroviario fosse sorta un'«arca della cultura» come previsto dal disegno del 2001 vinto dallo studio Bolles & Wilson. La Biblioteca europea di informazione (Beic) avrebbe messo a disposizione 500mila opere a libero accesso e digitalizzate, un'emeroteca, settori per musica e spettacolo, sale di registrazione, studio e lettura, caffetterie, terrazze. E se il parco antistante si chiama Largo Marinai d'Italia, nel 1986 era stato pensato come una grande laguna artificiale in cui la Palazzina Liberty «galleggiasse» nel mezzo, raggiungibile grazie alle barche. In un angolo di esso c'è chi pensò a un grande monumento, simile a un metronomo. E fu affascinato dall'idea di inserirvi perfino un cinema. Un giardino botanico. Una grande fontana.
Dalle sliding doors di Porta Vittoria alla grande piazza arrotondata, sogno di Giovanni Antonio Antolini che nel 1801 arrivò in città e ideò Foro Bonaparte come una gigantesca piazza circolare di 520 metri di diametro, circondata da portici ed edifici pubblici, con pantheon e terme. Una grande ariosità avrebbe avvolto il Castello. Ma già allora si faceva di conto. E la spesa per l'operazione era assai ingente per l'effimera repubblica che dovette rinunciare.
Si sono sempre aperte ma mai chiuse le porte dei progetti per San Babila. Già nel 1926 molti progetti provarono a ripensarne la circolazione. A smussarne gli edifici.
Nel 1936 Luciano Baldessari lo pensò come un grande centro di intrattenimento con cinema e negozi aperti fino a tarda notte. Oggi a guardarla su pianta ha il volto triste di una caricatura con un occhio pesto. Vetrine spente. E chiuse.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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