«Gnanch la schighéra la gh'è pü». Perché a ben vedere - ed è buffo dirlo, parlando di nebbia - in questa lingua di Milano compresa fra il Naviglio Grande e il Pavese, è sempre stata lei la padrona. E l'occhio non si spingeva oltre i piedi. Banchi fitti e avvolgenti si abbassavano presto all'imbrunire e si alzavano tardi al mattino. Spesso, a mezzogiorno, infagottavano ancora vie oggi depresse. Ieri - e l'altro ieri - suggestive arterie di un rione che assomigliava a un paese. Uno di quelli dove si conoscevano tutti. Si chiamavano per soprannome. E quello di battesimo nemmeno lo si ricordava.
Erano anni lontani. Non come adesso che si mettono bombe nei bar. Si spaccia droga. Si fanno le barricate contro la polizia. E piccoli rivoluzionari crescono nei centri sociali. Allora tra via Gola e via Magolfa c'erano poco più che prati. Ma il perimetro fra via Borsi, via Pichi e via Segantini, quello sì che era per pochi. Nel 1896 l'immunologo Serafino Belfanti vi aveva fondato il Sieroterapico. Era un signore di 36 anni, baffo folto e ciuffo simpatico. Ma era pur sempre un prof. Uno di quelli cui si dava del voi. E gli allievi si alzavano al suo ingresso in aula. Altri tempi.
Quando entrava Belfanti però non si muoveva nessuno. Per la semplice ragione che, nei laboratori - in piedi o seduti - si resta chini sulle provette. Tra storte e alambicchi, la squadra di Belfanti diede scacco alla difterite. Poi al tetano. Vaccini. Ormoni. Antibiotici. Accompagnarono il nuovo secolo. Il prof lo si vedeva sempre da quelle parti. Avvolto nella nebbia, dirigersi in istituto. Costeggiando il verde che dall'attuale piazza Arcole è compreso fra via Argelati e via Segantini. Fino al 1962 lì sono rimasti gli alberi poi il benessere degli anni del boom spinse il Comune a costruire e sorse la prima piscina scoperta. Ancora oggi la Argelati è la decana delle vasche estive. Pochi mesi di gloria nel cuore di una movida che, all'epoca, era una parola senza senso.
Correva il tram lungo la Ripa. Ma i ristoranti, allora come cinquant'anni dopo, erano già lì a offrire scampoli di chiacchiere. Svago. E un bicchiere di buon vino. Poco conta se nelle sere d'estate le zanzare ronzavano fastidiose. Poco conta perché quello spicchio di Naviglio ha sempre fatto rima con la gola. E prima, come approdo e riparo da freddo e fatiche. Funzionavano ancora i barconi. Che poi si chiamavano chiatte, ma fa niente. Trasportavano sabbia in Darsena. L'hanno fatto fino agli anni Settanta. I «comballi», cioè i conducenti, arrivavano all'ultimo ponte. Quello che chiamavano lo «Scodellino». Poi si ancoravano lì. Per un po'. Il tempo di intrufolarsi all'Osteria del Pallone che - guardando lo specchio d'acqua - stava sulla rive gauche . All'incrocio. Il tempo per un scodella di minestra bollente. Soprattutto in autunno e inverno, quando il gelo mangiava le ossa. E l'umido della scighéra faceva il resto. Da lì il nome. E il balsamo ai brividi di un corpo infreddolito.
Milano silenziosa. Lo sferragliare di qualche carrozza e gli zoccoli dei cavalli sull'acciottolato. Da quando Belfanti attraversava quelle strade, erano comparse le auto. E molte case. Quelle di ringhiera, affacciate sul canale, convivevano con palazzi nuovi di zecca. Oggi fuligginosi. Alle loro spalle. Il Ventennio aveva lasciato tracce indelebili con i condomini popolari lungo via Pichi. Ma il prof non li vide mai. Fece a tempo ad andarsene prima della guerra. Era il '39. Non vide nemmeno gli acquitrini di via Magolfa. «Frazione di origine longobarda fondata alle porte di Milano» come la definisce Arduino Anselmi in Milano storica nelle sue vie e nei suoi monumenti . Magulfa. Ghisulfa. E - in quel di Pavia - Vidigulfo. Toponimi dell'antica popolazione che lasciò tracce anche nel dialetto «influenzato da molte favelle, compresa quella dei longobardi. Troviamo infatti un antico magòlc : vuol dire stagno, pantano» scrive Valentino De Carlo.
Nemmeno Alda Merini conobbe. Belfanti morì che lei aveva otto anni. E non abitava ancora sulla Ripa. Al 47. L'osteria «Chimera» non era diventata casa sua. Dove distribuire poesie sparse, annotate sui foglietti. A barboni. Avventori. Avventizi. Come un Modigliani del verso, a Montparnasse. E la casa-museo che oggi la ricorda. In via Magolfa al 32. Inaugurata l'anno dopo che la poetessa se ne andò, è finita in disuso. Decrepita. È resuscitata per miracolo la scorsa estate. A sorpresa. Perché in via Gola è così. Si muore presto. E non si risorge quasi mai.
Non è mai rinato il quartiere. Risucchiato dal degrado. I falansteri fascisti sono preda delle okkupazioni. Via Pichi è un serraglio. Chi può, fugge. Gli abusivi blindano alloggi. Occorre essere in due perfino per andare a far la spesa. Uno a presidiare in casa, l'altro al supermercato. Basta un attimo per trovarsi la porta scardinata e murata. È scomparsa perfino una casa editrice di prestigio che in via Pichi aveva sede. Fuori, qualche magrebino scuoteva la testa. «Non conviene entrare. È un inferno». In realtà era una polveriera. Il rumore dei passi accendeva voci minacciose dall'interno.
Ci sono ancora i vecchi, là. Milanesi, ma stranieri a casa loro. In un «fortino» di pusher. L'Aler parla di cinque blitz in 36 mesi. Più di 40 okkupazioni nel 2014. Una alla settimana. L'avamposto si chiama «Cuore in Gola». Là dove una volta c'era l'Orso, il centro sociale frequentato da Dax, ucciso a coltellate a pochi metri da lì.
È finito tra le ruspe anche il Sieroterapico. Dopo anni fulgidi. Docenze prestigiose come quella di Luigi Luca Cavalli Sforza. Genetista e antropologo che lo diresse dal 1950 prima di tornare in America. L'istituto è precipitato tra le ombre di Tangentopoli. Due giorni dopo l'arresto di Mario Chiesa l'allora presidente e direttore del Sieroterapico, Sergio Caneschi fu rinviato a giudizio per insolvenza fraudolenta. E negli anni fu arrestato - era il maggio '94 - per il sospetto di aver costretto i pazienti al ricovero in una clinica privata. Ma forse doveva «pagare» la colpa di essere il medico personale di Anna Craxi ai tempi in cui Bettino veniva sommerso dalle monetine del Raphaël.
Assolto per le accuse sul Sieroterapico, Caneschi morì d'infarto. Era malato di tumore. Era innocente. E occorse tempo perché ottenesse ciò che meritava. La riabilitazione. Ma il mito del Sieroterapico era finito. Oggi non c'è più nulla. Al suo posto sta il Naba, acronimo di Nuova accademia di belle arti. È cambiato tutto. «Gnanch la schighéra la gh'è pü».
Via Magolfa (nella foto inizio secolo tratta dall'archivio Ogliari) collega il Naviglio Pavese a via Segantini. Qui al 32 ha sede la casa-museo intestata ad Alda Merini, tra i volti simbolo di un quartiere oggi in degrado per colpa di microcriminalità. Droga. E immigrazione clandestina. Questo viaggio è il primo di una carrellata che tenta di raccontare storie di Milano mettendo a confronto la città che fu e quella che - nei decenni - è diventata, nel bene e nel male.
L'invito a partecipare è rivolto ai lettori che, apprezzandola, vorranno contribuire inviando foto d'epoca in loro possesso per la pubblicazione. Le immagini vanno mandate via mail in formato jpeg a: storiedimilano@ilgiornale.it.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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