La Procura generale di Milano non si arrende: Rocco Papalia, esponente della famiglia omonima, tornato ad abitare a Buccinasco dopo avere scontato venticinque anni di carcere, continua ad essere un pericolo per la collettività. E l'unico modo per tenerlo sotto controllo è applicargli lo status di sorvegliato speciale, che gli impedisce di lasciare Buccinasco e di uscire di casa dopo il tramonto.
L'11 ottobre scorso, accogliendo il ricorso di Papalia, la Corte d'appello aveva stabilito che non c'era più alcun motivo di applicare quegli obblighi al vecchio boss, visto il percorso positivo di reinserimento compiuto in carcere, documentato nelle relazioni degli agenti, e l'assenza di nuove accuse. Ma il procuratore generale Laura Barbaini ha chiesto alla Cassazione di annullare l'ordinanza. Secondo l'accusa, la buona condotta tenuta in carcere da Papalia era poco più che una messa in scena, visto che nello stesso periodo continuava a dirigere le attività della famiglia: «La relazione degli educatori del carcere di Nuoro è di poco successiva ai colloqui periodici intercorsi tra Rocco Papalia e Salvatore Barbaro, genero e ad un tempo successore di Rocco Papalia all'interno del gruppo mafioso, colloqui sottoposti ad intercettazione. (...) durante i quali non si discute soltanto di questioni familiari ma anche e soprattutto di lavoro e di affari con grande cautela per non essere ascoltati».
La sorveglianza speciale va ripristinata, sostiene ancora il ricorso del pg Barbaini, perchè «non è stato valutato il ruolo di promotore, capo ed organizzatore ricoperto all'interno dell'associazione Barbaro-Papalia per decenni da Rocco Papalia; non è stata valutata la capacità operativa del gruppo di appartenenza nel territorio lombardo, che non si è esaurita ma si è raffinata e rafforzata dopo l'arresto e la lunga detenzione di Rocco Papalia, attraverso l'attività posta in essere da altri esponenti del gruppo». Ed infine all'ex detenuto viene rimproverato di non avere mai dato segnali, se non di pentimento, almeno di dissociazione: «Manca qualsiasi manifestazione di recesso dal gruppo di appartenenza».
Che, anche dopo l'arresto di Rocco le famiglie di Platì trapiantate tra Buccinasco e Corsico siano rimaste pericolose, lo testimoniano secondo l'accusa le recenti inchieste antimafia. «La considerazione dell'accertato ruolo di vertice ricoperto da Rocco Papalia e della incessante attività del gruppo di appartenenza avrebbe imposto di ritenere, in totale assenza di comportamenti di recesso, come la condotta antisociale sia in concreto riproducibile da parte del proposto», ovvero di Papalia medesimo.
Ora la parola
passa alla Cassazione: che però per legge non potrebbe entrare nel merito della vicenda, ma solo accertare se nel corso della procedura sia stata violata la legge. E questo potrebbe essere uno spiraglio favorevole a Papalia.
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