Scala, Lissner nega di avere steccato

Non è stata dimenticanza. L'assenza del Sovrintendente del Teatro alla Scala Stephane Lissner al tavolo convocato ad agosto dal ministro per i Beni culturali Bray con i rappresentanti delle fondazioni lirico sinfoniche per discutere del Decreto Valore Cultura non era casuale. Rimbalzano come su un muro di gomma le polemiche lanciate durante il convegno organizzato dalla Cgil contro i vertici del Piermarini, rei di essersi mossi troppo tardi nel far sentire la propria voce contro il decreto, ormai legge. Una legge pensata per controllare e salvaguardare le fondazioni lirico sinfoniche in crisi. Non esattamente la situazione della Scala, diciamo.
«Preoccupante - commentava Giancarlo Albori, segretario dei lavoratori della cultura Cgil - è aver saputo che nel momento degli incontri con il ministro sul decreto Cultura non ci sia stata la presenza della Scala a Roma». Dello stesso tenore le parole di Walter Vergnano, sovrintendente del Regio di Torino («mai visti in questi mesi») e del commissario del Regio di Parma nonché ex sovrintendente della Scala Carlo Fontana («c'è stata un po' di disattenzione, e un po' di sottovalutazione, direi...»). «Il problema non è essere presenti o meno, quanto avere un linea diretta con il ministero, e mi stupirei se così non fosse», smorza i toni Silvio Belleni della Cisl.
La questione della protesta è forse più complessa di quanto appaia. Da un lato, infatti, ci sono le ragioni di chi dialoga e lavora nell'ombra, dall'altra la specificità delle situazioni. «Il sovrintendente è completamente allineato alle valutazioni e dichiarazioni del sindaco - dicono da piazza Scala - e dal momento che il presidente della fondazione (il sindaco, ndr) ha rapporti diretti con il ministero non ha alcun motivo per agire in alternativa. È il vertice che se ne sta occupando, non ha quindi senso raddoppiare gli sforzi». Come a dire Giuliano Pisapia sta lavorando da mesi per salvare il tempio della lirica dalla legge salva-teatri. E poi c'è la partita delle peculiarità del Piermarini rispetto al panorama lirico sinfonico italiano: per struttura, numeri, bilanci. Sarebbe stato come un pesce fuor d'acqua a quel tavolo. È nei presupposti, insomma, che il decreto - che mette i tutti i teatri sullo stesso piano - risulta inappropriato per il colosso Scala.
E sono i numeri a dirlo: anche quest'anno, infatti, come ha dichiarato il sindaco due giorni fa, il teatro chiuderà il bilancio in attivo, per l'ottavo anno consecutivo. Così se la Scala ha ricevuto 30 milioni di euro dal Fus (vanta 72 milioni di risorse proprie) ha anche incassato, nel 2012, 30,750 milioni dalla biglietteria. Ancora il numero degli spettatori nel 2012 425.503 (con un tasso di saturazione della sala del 95%) è il doppio rispetto agli altri teatri che arrivano al massimo a 200.000. Si contano 280 alzate di sipario.

Numeri che non parlano di teatro i crisi. E che anzi rispondono perfettamente ai criteri (alta produttività, qualità della produzione, tre bilanci in attivo, presenza di privati) in base ai quali, secondo la legge 100 in vigore, si viene esentati dalla tutela.

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