È ufficiale: Palazzo Marino sta con gli abusivi

Nelle carte del Tar la dimostrazione che il Comune sta dalla parte del centro sociale

È ufficiale: Palazzo Marino sta con gli abusivi

Da una parte i legittimi proprietari del palazzo. Dall'altra, gli autonomi che se ne sono impadroniti tre anni fa, facendone la roccaforte di uno dei centri sociali più agguerriti della realtà milanese. Da tempo, i proprietari cercano di rientrare in possesso dell'area. Ma gli occupanti hanno trovato un alleato formidabile: il Comune di Milano, che non solo si è rifiutato di prendere alcun provvedimento di sgombero, ma ha addirittura innescato un braccio di ferro con la proprietà per rivendicare il proprio diritto a non fare niente.

Il palazzo è in piazzale Stuparich 18, ed è un indirizzo ormai ben noto alla Digos: ospita il «Cantiere», base operativa dei «duri» dell'ala antagonista. E la sentenza depositata martedì scorso dal Tar, ultima puntata dello scontro tra il Comune e i proprietari, offre un interessante spaccato dei rapporti di buon vicinato che Palazzo Marino ha scelto di intrattenere con il mondo alla sua sinistra. Rapporti che risalgono all'epoca Pisapia: ma da cui anche Sala ha scelto di non distaccarsi, mantenendo nello scontro legale la stessa linea del suo predecessore.

Tutto inizia nel 2013, subito dopo l'occupazione quando la proprietà, ovvero la Sanitaria Ceschina, si rivolge a Comune, Prefettura, Questura e Amsa chiedendo che ognuno per la sua parte intervenga per porre fine all'occupazione. Il Comune, però, tace. Ostinatamente, nonostante che la proprietà segnali anche i rischi di crolli del palazzo, fatiscente e da tempo destinato alla demolizione. Nel 2014, davanti ai silenzi di Palazzo Marino, la Ceschina fa ricorso al Tar perché sia riconosciuta «l'illegittimità dell'inerzia serbata dall'amministrazione sulle istanze presentate a far data dal 30 aprile 2013, per provvedere sull'invasione arbitraria dell'immobile situato in Milano, P.zza Stuparich n. 18». Il Comune si costituisce in giudizio, sostenendo che «superata l'imminenza dei fatti e visto il consolidarsi della situazione di occupazione abusiva, l'ordinamento giuridico non attribuisce al Comune alcun potere di intervento». Ma il Tar nel dicembre 2014 dà torto a Palazzo Marino, giudicando immotivato il suo ostinato silenzio. Il Comune fa appello al Consiglio di Stato, ma si vede dare torto un'altra volta: «L'immobile occupato diventa strumento e occasione in cui si realizza turbamento dell'ordine, dell'igiene e dell'incolumità pubblica», scrivono i giudici.

A quel punto il Comune si rassegna a rispondere alle istanze della Ceschina. Ma lo fa prendendo di fatto le parti degli antagonisti, e parlando persino di «occupazione asseritamente abusiva». E il 5 ottobre 2015 risponde escludendo «qualsiasi rischio per la incolumità pubblica, la salute e la sicurezza pubblica all'interno e all'esterno del complesso immobiliare», sulla base di un sopralluogo e del «monitoraggio della situazione dell'ordine e sicurezza pubblica». Chi abbia effettuato il «monitoraggio» dal confortante esito non si sa. Si sa invece chi ha effettuato il sopralluogo: i tecnici del Comune, insieme - incredibilmente - a quelli del centro sociale. E la Ceschina parte con un nuovo ricorso al Tar: «I proprietari dell'immobile - si legge nell'atto - non sono stati neppure avvisati dell'ispezione» mentre «emerge chiaramente che il Comune di Milano ha preavvisato del sopralluogo gli occupanti (se addirittura non ha concordato con loro la data)». Risultato della visita: lo stabile, che fino a tre anni fa era considerato quasi pericolante, viene trovato in forma smagliante, grazie agli «interventi manutentivi» messi in atto (ovviamente senza licenza) dagli occupanti.

L'altro ieri, il Tar rigetta il nuovo ricorso della Ceschina: siamo nel campo, dice, della discrezionalità del Comune. Ma sceglie di non affrontare l'altro tema sollevato dalla proprietà, la pericolosità «sociale» del Cantiere, che per legge secondo la Ceschina dovrebbe spingere il Comune a intervenire.

E che è ben riassunta dal comunicato che il Cantiere ha pubblicato sul suo sito prendendo le parti dei devastatori del Primo maggio: «In una epoca così feroce la violenza ci risulta essere ben altra cosa. Delle vetrine del centro non ci interessa molto».

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