Se Salvini vuole un reddito di cittadinanza «alla lombarda»

Alberto Giannoni

Addio sogni grillini. Il reddito di cittadinanza italiano potrebbe avvicinarsi a quello di «inclusione» introdotto in Lombardia. Lo ha rivelato il vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini, in «Rivoluzione», il libro di Bruno Vespa: «Per il reddito di cittadinanza - ha spiegato il leader leghista - cercheremo di avvicinarci il più possibile al reddito di autonomia della Lombardia che funziona benissimo ed è stata premiata a Bruxelles come esempio delle politiche attive». Il reddito lombardo in effetti funziona, e non ha niente a che vedere con un sistema perenne di sussidi a pioggia. Le misure volute da Roberto Maroni, e costruite dall'assessore Giulio Gallera, rispondono a una logica diametralmente opposta. Nei sogni ideologici a 5 Stelle il «reddito» è appunto di «cittadinanza» e uno Stato pervasivo e occhiuto lo assegna incondizionatamente, e per anni, alle persone cui vuole ridare «dignità» (parola della vice ministro Laura Castelli). Al contrario, nell'approccio liberale che ispira le misure pragmatiche introdotte in Lombardia, il «welfare» si attiva tempestivamente, e temporaneamente, su casi circoscritti di vulnerabilità, in cui un accompagnamento momentaneo è utile per ritrovare le necessaria autonomia. E non a caso, ad «autonomia e inclusione erano» era intitolata la delega assegnata all'assessore liberale Gallera.

Esenzione dai ticket sanitari, bonus affitti, bonus alle neo mamme, assegni agli anziani colpiti da alzheimer o ai disabili.

Fa bene Salvini quindi a indicarle come finte d'ispirazione: queste misure del centrodestra lombardo - così come oggi i nidi gratis - configurano una misura ragionevole e realistica per aiutare chi - a un certo punto - non ce la fa più da solo. E non sono il sogno demagogico dell'assistenzialismo, che diventa incubo per i conti pubblici.

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