Uno stadio per il Milan, un altro per l'Inter. Milano per il pallone si sdoppia, si scopre improvvisamente città di livello mondiale. Quest'anno ospiterà la finale di Champions per la quarta volta, dal 2019 (se tutto va bene) avrà un nuovo impianto-gioiello al Portello per i rossoneri e un San Siro completamente riadattato per i nerazzurri. Bene, prendiamolo pure per un grande balzo nel futuro. Ma alla fine scopriamo ancora una volta che a Milano sotto il calcio non resta proprio niente. Il sindaco Pisapia e la sua giunta stanno già cavalcando il progetto rossonero, ma rischiano di ripetere gli errori del passato, quando il Comune si è sempre vantato di imprese e progetti non suoi, trascurando il resto dell'impiantistica di diretta competenza.
Sotto questo aspetto, infatti, Milano è e resta una città da terzo mondo. A partire dalla ferita sempre aperta del Palasport crollato nell'85 (trent'anni fa!) e mai più ricostruito, una ferita nella memoria e nel cuore di chi vorrebbe fare e vedere sport in questa città e invece si è ormai rassegnato a restare fuori dai giri che contano.
E la situazione disperata dell'impiantistica si riflette di conseguenza su quella semicomatosa dello sport cittadino. Quella che è stata la culla dello sport italiano, la città in cui sono nate quasi tutte le nostre discipline, ridotta fanalino di coda del panorama nazionale. È vero, senza investimenti è difficile fare grande sport, ma chi può essere invogliato ad investire su squadre e discipline che non hanno nemmeno un impianto in cui esibirsi?
Per avere un'idea basta fare la lista della spesa: l'atletica a Milano ha uno stadio che risale al 1807; il nuoto non ha una piscina olimpionica degna di tal nome (l'unica vasca da 50 metri è la Samuele, ma è scoperta e in condizioni precarie); il basket e la pallavolo (che ha giocato l'ultima stagione a Desio e ora andrà a Castellanza) non hanno una casa che non sia il Forum di Assago, visto che la ricostruzione del Palalido (chiuso dal 2010) pur foraggiata direttamente da Armani sta subendo ritardi mostruosi per varie ragioni burocratiche; il rugby dispone del vecchio Giuriati (classe 1931) ma l'Asr per sopravvivere si è dovuta costruire un campo a Linate, visto che il Crespi (comunale) è in condizioni pietose; l'hockey ghiaccio ha a disposizione l'Agorà, impianto privato e decisamente costoso, tanto che il Milano Rossoblu dopo l'autoretrocessione in B cerca casa fuori città (PalaSesto?); il baseball gioca da sei anni a Senago perché il Kennedy (inaugurato nel 1964, e abbandonato dal Comune nel 2002 con la fallimentare politica dei bandi per trovare dei gestori privati) è inutilizzabile per le partite della serie A2; il tennis senza Palasport e Palalido non organizza nemmeno più il torneo indoor di Milano che pure per anni ebbe il suo prestigio. Si salva da qualche tempo il football, che utilizza il Vigorelli ristrutturato, ma non ancora a disposizione dal ciclismo, a cui il velodromo ottantenne (è del '35) è fondamentalmente destinato.
Da questa lista di disastri ne consegue inevitabilmente che l'altro sport milanese stia precipitando nell'anonimato e il piatto degli scudetti piange: dei 101 titoli italiani (escluso il calcio) conquistati nella sua storia dalla città più tricolore d'Italia, soltanto 23 (di cui 9 dell'hockey ghiaccio) sono arrivati negli ultimi 30 anni. Gli altri appartengono all'età d'oro dello sport cittadino e sono datati quasi come i suoi impianti. E se il Palalido e il Kennedy sono degli anni Sessanta (ma sono già da rifare), gli altri risalgono addirittura agli anni Trenta: Vigorelli, Giuriati, il Tennis Milano, la piscina Cozzi presentata ai tempi come la più moderna d'Europa.
E il risultato è che Milano non ha mai ospitato, né potrà mai ospitare un Europeo o un Mondiale di atletica e di nuoto. E nemmeno di basket o di rugby o di qualsiasi altra disciplina. Ci restano la maratona e il Giro d'Italia solo perché le strade, salvo qualche buca di troppo, ce le abbiamo ancora.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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