La tavolozza di Kandinskij che dà colore alle leggende

In mostra da domani una cinquantina di opere che ritraggono la storia e le tradizioni della Russia

Francesca Amè

Bisognerebbe andare al Mudec con l'animo del viandante, perché quello che si compie, nelle sale superiori del museo da mercoledì al 9 luglio, è un pellegrinaggio nell'immaginifico mondo di Vasilij Kandinskij. E se le mostre sul grande pittore russo non sono certo mancate nella programmazione milanese, questa «Kandinskij, il cavaliere errante. In viaggio verso l'astrazione» al Museo delle Culture di via Tortona riserva non poche sorprese. Con una cinquantina di lavori dell'artista a confronto con molteplici oggetti della tradizione russa tra cui icone, stampe popolari, giocattoli, molti per la prima volta esposti in Italia, compiamo un viaggio di formazione per molti versi simile a quello - fisico e interiore - svolto da Kandinskij, un percorso che lo porterà a quella forma inconfondibile di astrazione, capace di distaccarsi dal reale e suggerire invece la nostra reazione davanti al mondo.

Curata da Ada Masoero e Silvia Burini, con prestiti significativi dal Pukin di Mosca, dall'Ermitage di San Pietroburgo, dalla Galleria Tret'jakov e da svariati musei di arte applicata, dimostra quanto stretto sia stato il legame tra astrazione ed etnografia nel percorso creativo di Kandinskji. Il più spirituale dei pittori russi attingeva il suo pennello nelle leggende e nella profusione decorativa degli oggetti della tradizione russa. Tutto comincia da un viaggio che Kandinskij, studente di legge, scelse di fare nella regione del Volgoda, per studiare la legislazione delle popolazioni russe di etnia ugro-finnica. È una folgorazione: «Restai inchiodato di stupore», scrisse l'artista davanti a quella fantasmagoria di colori e forme negli oggetti di uso comune tra le popolazioni, i Kimi-Zirjanj, che vivevano di allevamento e pastorizia, lontano dalla civiltà. Li ritroviamo esposti al Mudec: abiti, tessuti, giocattolo, lubki (stampe decorative) a confronto con le opere dell'artista che, sette anni dopo quel viaggio fatale, decise di abbandonare la giurisprudenza e votarsi alla pittura con l'obiettivo dichiarato di far «passeggiare dentro i miei quadri chi guarda».

Ci è riuscito, eccome. Lo dimostrano le successive tre sezioni della mostra, dedicate rispettivamente al tema del Cavaliere errante, a quello della «Mosca Madre» (prendetevi almeno 5 minuti per osservare i dettagli e i colori della tavolozza «Piazza Rossa») per finire nella grande sala «Musica dell'astrazione». «Il cavaliere» proveniente dalla Tret'jakov è una citazione, rivisitata con tutta l'intensità di cui Kandinskij è capace, di un tema ricorrente nelle icone russe e nella fiabe nordiche e anche un ricordo di quel cavallino di legno con cui l'artista era solito giocare da piccolo con la zia.

Passando per «Destino», con le inconfondibili cupole a cipolla e quei colori incantati, in cui si vede il viscerale amore di Kandinksij per Mosca, arriviamo nell'ultima grande sala, dove un'infilata di capolavori tra quelli meno noti ed esposti come «Quadro con cerchio», ritrovato solo nell'89 nel museo nazionale georgiano, dialogano con una riuscita installazione multimediale di Giuseppe Barbieri, docente di Storia dell'arte alla Ca' Foscari di Venezia. Con «Improvvisazione sulle forme fredde» il pellegrinaggio si chiude: siamo atterrati sul pianeta dell'astrazione (tutt'altro che fredda, ma piena di vita vissuta).

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