Il vino risveglia i sentimenti: in un film la Francia più amara

Stefano Giani

In vino non è sempre veritas quella che inebria. E Jean, il maggiore di tre fratelli torna nell'amata-odiata Borgogna dopo un giro del mondo che gli ha regalato una donna che non lo vuole più e un figlio. Il piccolo Ben, relegato nella remota Australia, non si spiega perché papà attraversi l'oceano. Nessuno gli ha spiegato che esistono i nonni. Lui, il piccolo, vede solo filari di vite e una mamma che ragiona con i cicli stagionali dell'emisfero australe che sono tutt'altra cosa da quello boreale. Il cammino a ritroso di Jean fa rima con le estreme condizioni di salute del papà. Ormai morente. Rientrare fra mura familiari e ritrovare la sorella e il fratello con i quali è cresciuto significa rientrare nel mondo. L'unico che gli appartenga fino in fondo.

Il vino è la bussola di questo girovagare che termina nell'azienda vinicola di famiglia, diventata di colpo il legame inscindibile. Il cordone ombelicale. Il nettare che lo riconduce nella culla. E gli rivela che fratelli si nasce. E nessun notaio può scomporre quell'unione, nemmeno in nome dei diritti di successione. Ritorno in Borgogna di Cedric Klapisch, presentato ieri sera all'Anteo e nelle sale italiane da giovedì, lascia assaporare tra calici pastosi il gusto amaro di chi ripercorre le proprie origini sollecitando il trapelare dei ricordi più tristi. L'anno di permanenza nella casa di famiglia, benché orfana dei genitori, rinsalda le radici ma mette Jean allo specchio.

È costretto a decidere se la sua casa sia al di qua o al di là dell'oceano. Il suo diritto ad andarsene, senza fare del proprio futuro una trappola per i fratelli, uniti da un'indissolubilità sancita da una legge di successione che vincola il futuro familiare e aziendale.

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