Il milionario che vuol buttare a mare Silvio

Bertelli, "mr Prada", armatore di Luna Rossa, è approdato sul palco di Alleanza per l'Italia con Rutelli a inveire contro il premier

Il milionario che vuol buttare a mare Silvio

Il verbo gli deve garbare un sacco. Buttare fuori. Gli capita, a volte, di ricorrere anche a una versione appena modificata: sbattere fuori. Non è detto che gli stilisti per questo abbiano uno stile, non dico un’eleganza. Prendete Bertelli Patrizio, uno che viene da Arezzo e dunque come il Pietro Aretino, pure lui nato ad aprile ma qualche secolo prima, potrebbe scrivere l’epitaffio famoso: di tutti parlò mal, fuorché di Cristo, scusandosi col dir: «Non lo conosco!».
A forza di cazzare la randa l’imprenditore toscano ha deciso di scuffiare e di far affogare Silvio Berlusconi: «Va buttato fuori dal Parlamento», ecco l’uso del verbo di cui sopra, così modificato ai tempi di Luna Rossa, nei confronti degli uomini del suo equipaggio: «Il primo che parla con i giornalisti lo sbatto fuori!».
Bertelli ha chiesto la fuoriuscita del premier, non strillando tra una sfilata e l’altra, ma presentandosi a Parma, in occasione dell’assemblea fondativa di Alleanza per l’Italia, Rutelli & c. Lo stesso amministratore delegato del gruppo Prada ha così voluto illustrare il proprio pensiero: «Berlusconi ci ha messo in condizioni scandalose di fronte all’opinione pubblica mondiale» e per irrobustire la tesi ha coinvolto anche la propria famiglia: «Mio figlio mi ha chiesto se non c’è uno strumento nella Costituzione per fare l’impeachment del presidente del Consiglio». Non è dato sapere se il quesito sia stato posto da Giulio o da Lorenzo ma i soliti manigoldi toscani, le malelingue che non amano l’aretino furioso, sussurrano che esista una terza figura alla quale l’imprenditore è legato per affetto e dovere responsabile. Ma trattasi di pettegolezzi e Patrizio Bertelli non è uno che frequenti i gossippari, i cortili, le coste Smeralde, spacciando panfili e gioielli.
Si definisce un contadino ma alla campagna preferisce il mare. Le sue barche se l’è costruite e fatte viaggiare per competizioni, lui ama davvero l’acqua salata, le vele poi gli sono costate una fortuna e si mormora che per questo viziaccio il montepremi accumulato dall’azienda sia stato sgonfiato assai e che il miliardo di euro di rosso abbia bisogno di generi di conforto. Al riguardo corre voce che la Richemont, l’holding finanziaria con sede a Ginevra e che riunisce marchi di lusso (orologi, alta gioielleria, penne da scrittura, abbigliamento) negli anni acquisiti dallo stesso gruppo, la Richemont, dunque, abbia prelevato una parte sostanziosa (20 o 30 per cento) del pacchetto azionario di Prada (sul quale già aveva provveduto con il marchio Alaia) anche perché le solite banche continuano a bussare.
Nulla toglie all’impero, o regno, di restare tale, nonostante le difficoltà evidenti del mercato mondiale. Del resto il buttafuori di Parma è uno con idee molto chiare sulla globalizzazione. Leggete, ad esempio, quello che disse a Il sole-24 ore nel duemila e quattro: «Non capisco che differenza ci sia tra una camicia fatta in Tunisia, dove cuciono benissimo, e una fatta a Napoli. L’importante sono i materiali, la qualità, gli standard». Il ragionamento, come la camicia, non farebbe una grinza se non si controllassero i costi all’origine, la manodopera tunisina o cinese o orientale e quella di casa nostra, Napoli compresa. Ma queste sono cineserie, Bertelli le sbatterebbe nel cestino dei rifiuti così come, ogni tanto, sbatte via una borsa mal cucita, altri articoli non giustamente confezionati, così come usa le parole di fronte a ospiti e clienti che non capiscono la nostra lingua madre. È accaduto con alcuni giapponesi, ai quali il Nostro ha rivolto una carezza aretina: «Ma questo è proprio un cretino», e altri membri del suo management hanno aggiunto coccole dello stesso ceto, creando imbarazzo nell’interprete presente all’incontro. Anche perché Bertelli globalizzato non parla altre lingue se non la sua, energica, generosa, vulcanica.
Riferiscono di un dialogo da Amici miei con la tedesca Jil Sander al momento della trattativa: «Chieda alla signora come sono fatte le sue borse». E la Jil, con calma teutonica, sempre tramite l’interprete: «Dica al sighnor Bertelli che le facciamo con pelle di altissima qvalità, eccetera, eccetera». E l’aretino: «Chieda alla signora perché sono così grandi… ». E la Sander: «Dica al sighnor Bertelli che è la tendenza di mercato... ». E ancora il Nostro all’attacco: «Chieda alla signora perché costano tremila euro». E la tedesca: «Dica al sighnor Bertelli che le finiture sono fatte tutte a mano... ». E Bertelli con sipario finale: «Dica alla signora che a mano non si fanno nemmeno più le... ». Lascio al lettore intuire e riempire i puntini di sospensione.
Esistono altri aneddoti gustosi, fari di autovetture frantumati perché parcheggiate male davanti all’ingresso dell’azienda, biglietti da visita strappati in faccia ai fornitori non graditi, vetrine a Londra e a Milano di Gucci, rivale come il Della Valle, messe a soqquadro perché esibivano capi copiati dalla griffe originale Prada, borsette mal cucite o mal disegnate che volano dalle finestre.
Va da sé che il carattere è questo, bello fresco, vele issate e vento in poppa, anche con le donne che gli fanno la corte, una bionda fatale tra queste, sorpresa dal solito paparazzo mentre si intrattiene affettuosamente con l’amministratore delegato. Nulla in confronto ad altre maialate, direbbe l’aretino.

Comunque il ragazzo che si pagava gli studi e mancò la laurea in ingegneria, il giovane che rivendeva cinture di pelle e poi prese a fabbricarle lui medesimo, il marito di Miuccia Prada, ha aperto le finestre. Oltre alla borsetta vuole buttare fuori Berlusconi. Lo strappo è profondo. Per cucirlo si potrebbe andare in Tunisia.

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