Minacce in arabo alla Santanchè «Ora basta è arrivata la tua ora»

da Roma

Una busta che arriva da Londra, indirizzata alla sua casella postale in Parlamento: dentro due fogli. Uno in lingua araba, l’altro con un testo in inglese: «È giunta la tua ora». E soprattutto quelle foto. Le immagini di Theo Van Gogh e Ayaan Hirsi Ali. Ovvero: il regista del contestatissimo (dagli integralisti islamici) Submission, il regista che pagò con la vita (sgozzato) la fatwa da cui era stato colpito per la sua pellicola. E poi Ayaan, la deputata olandese che di quella pellicola fu sceneggiatrice, condannata anche lei a morte e costretta a lasciare il suo Paese in seguito alle minacce.
Quando ha aperto quella busta, Daniela Santanchè, deputata di An, paladina della battaglia antivelo in Italia, ha capito subito che la minaccia era gravissima, mortale e da non sottovalutare. Ed è stato quasi per un meccanismo automatico, che quando ieri la notizia si è diffusa, la giornata politica è stata monopolizzata da una pioggia di dichiarazioni di solidarietà bipartisan nei suoi confronti: dai colleghi di partito agli avversari politici, da Gianfranco Fini alla ministra Giovanna Melandri. E dire che solo due mesi prima, era lei, la Santanchè, a organizzare mobilitazioni per la Hirsi Ali. Il giorno in cui la Cnn era venuta ad intervistarla a Roma, dopo il litigio con un imam che le aveva dato dell’infedele a Controcorrente, la Santanchè era a pranzo in un ristorante romano con Lino Jannuzzi e Selma Dall’Olio: parlava del suo imminente viaggio in America, della necessità di far fronte con la deputata minacciata. Adesso, a stabilire quel link, sono le lettere minatorie. Certo, la Santanchè è già sotto scorta dalla settimana successiva alla partecipazione alla trasmissione di Sky. Ma il livello di allarme resta alto. Ieri una delle prime espressioni di solidarietà arrivava dalla deputata verde Paola Balducci. O dalla vicepresidente della Camera Giorgia Meloni («Sta ora alle associazioni islamiche moderate, presenti da anni in Italia e che esercitano in libertà il proprio credo religioso, condannare l’episodio»). Mentre Francesco Storace provava rilanciare sul piano politico con un invito perentorio ai colleghi di Montecitorio: «Adesso firmiamo il suo progetto di legge sul velo». Ed anche l’interessata, ovviamente, rilancia: «Sono serena, non darò soddisfazione a queste persone, ai fondamentalisti che vogliono intimidirci e cambiare i nostri comportamenti. Ho abbandonato da tempo il buonismo e denuncio con forza queste discriminazioni nei confronti delle donne musulmane». Di più. Chiede alla Camera di discutere un testo con una norma ancora più restrittiva: «Sono una donna di destra e passo dalla parola ai fatti: oggi stesso presenterò una proposta di legge perché venga vietato nel nostro Paese l’uso di qualsiasi tipo di velo fino a 18 anni. Ritengo che il velo non sia mai un simbolo di libertà, ma un simbolo di sottomissione. Voglio avere la certezza che non ci siano donne, almeno nel nostro Paese, obbligate a metterlo. Proporrò questa legge - concludeva la Santanchè - per la fede che ho nell’Islam e nei musulmani, per la fede che ho in chi vuole riformare l’Islam e per la battaglia che sto facendo per le donne».


Ma c’è anche chi va controcorrente, come la responsabile nazionale Diritti civili dei Ds Ivana Bartoletti, contraria alla proposta della deputata: «Le imposizioni non servono, bisogna rivedere la Bossi-Fini, approvare una nuova legge sulla libertà religiosa. O questo - conclude la Ds - è quello di cui ha paura l’onorevole Santanchè?».

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