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Il ministro Brambilla: «Un numero verde per gli stranieri contro le truffe»

In Italia per sei anni l’innovazione ha preso la rincorsa grazie alla Legge Tremonti, che ha permesso ai ricercatori pubblici di brevettare direttamente le loro scoperte: dal 2001 al 2007. In sei anni è più che raddoppiato il numero dei brevetti depositati annualmente, triplicato quello degli accordi industriali per il loro sviluppo e aumentato di oltre 12 volte il numero di spin-off universitari, le nuove società che nascono finalizzate a sostenere lo sviluppo delle invenzioni biotecnologiche.
Ora questa marcia rischia di subire una battuta d’arresto. È pronto infatti un decreto legislativo che modifica questa norma e dà nuovamente a enti e università il diritto esclusivo di brevettare le scoperte scientifiche dei propri ricercatori, anche nel caso in cui i fondi non siano stati forniti al ricercatore dall’ente di appartenenza.
Uno scenario che rischia di rimettere in discussione l’attività di brevettazione nel settore pubblico che fino a dieci anni fa era davvero troppo basso e segnava una distanza abissale tra l’eccellenza dei risultati scientifici prodotti dalla ricerca pubblica e la possibilità reale di un loro sviluppo industriale. Senza la copertura brevettuale l’innovazione infatti non può essere trasferita all’industria. Ne abbiamo parlato con Enrico Garaci, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, che parla dei rischi legati al possibile cambiamento di questa norma. «La legge Tremonti per la ricerca pubblica, che già sappiamo sofferente per molti versi, almeno nel settore brevetti, è stata una vera e propria terapia che ha prodotto risultati tangibili. Tornare indietro non avrebbe senso - afferma Garaci - significherebbe indietreggiare rispetto ai risultati raggiunti, che si sono tradotti, dal 2002 al 2007 (ultime stime statisticamente affidabili), in un aumento dei depositi di brevetti da 177 a 409 l’anno (+231%), in una crescita degli accordi industriali da 31 a 89 l’anno (+287%) e nel boom delle nascite di nuove imprese innovative (spin-off), aumentate da 8 del 2002 a 97 l’anno (+1213%) nel 2007».
Ma a godere della legge Tremonti, secondo Garaci, oltre all’economia nazionale, è stato anche il circuito interno della ricerca pubblica. I ricercatori, resi maggiormente protagonisti delle loro scoperte grazie alla possibilità di entrare direttamente nel loro sfruttamento industriale, avevano trovato in questo coinvolgimento nuova linfa: «I ricercatori pubblici, di enti e università, hanno trovato nella possibilità di partecipare direttamente allo sfruttamento industriale della loro invenzione una forte spinta a produrre innovazione - spiega il presidente - tenendo anche conto del fatto che questo in parte compensava le difficoltà in cui essi si trovano a lavorare: scarsi fondi per la ricerca, stipendi più bassi, maggiori difficoltà amministrative e percorsi più rigidi rispetto ai colleghi del privato».
Eppure la norma sembra non annullare completamente il principio. Parla solo di riservare all’ente o all’università, per sei mesi a partire dal momento in cui riceve dal ricercatore la comunicazione della scoperta, il diritto di decidere se brevettarla o no. «Di fatto lo annulla. Sei mesi sono troppi considerando che, dopo la decisione, ne servono almeno altri due o tre per preparare il brevetto e depositarlo. Quasi un anno dopo dalla comunicazione del ricercatore. Sappiamo tutti che soprattutto la ricerca pubblica è incentrata sulle pubblicazioni scientifiche e queste spesso si giocano sul tempo - spiega - se deve passare tutto questo tempo dalla comunicazione della scoperta fino alla decisione di brevettare, si arriva troppo tardi alla pubblicazione e, se il ricercatore decide di pubblicare, è impossibile poi brevettarla. Un lasso di tempo troppo lungo che, di fatto, svantaggia i ricercatori italiani nella corsa alla pubblicazione con i ricercatori pubblici di altri paesi. Incomprensibile davvero - continua Garaci - perché così si tagliano le gambe della ricerca finanziata dalle nostre tasse, la si rende sterile e improduttiva sul piano tecnologico».
Doveroso quindi salvare la norma Tremonti, anche se, secondo Garaci, ciò non è sufficiente, poiché da quella Legge bisogna, adesso più che mai, ripartire per migliorarla, per far crescere una diversa mentalità su come tradurre i frutti della ricerca pubblica. «In realtà deve mutare un intero sistema - spiega il professore -. Serve un nuovo approccio, più flessibile, per gestire i fondi e ottimizzare tutti i tempi: dal deposito della domanda di brevetto al suo sfruttamento industriale. Nel settore delle biotecnologie, uno di quelli con i costi più alti, servono almeno 2 milioni di euro e non meno di tre anni per portare un prodotto dalla ricerca di laboratorio alla prima sperimentazione nell’uomo. Inoltre - aggiunge Garaci - in relazione ai costi dell’innovazione, è fondamentale affrontare come finanziare i costi di sviluppo dei brevetti, in modo da renderli appetibili per il mondo industriale. Serve per esempio produrre strumenti di co-finanziamento, basati sul recupero del capitale pubblico impiegato al momento del guadagno e delle vendite, per finanziare lo sviluppo di progetti pre-commerciali di società high-tech, così come è essenziale attrarre capitale di rischio internazionale ed investire soprattutto negli spin-off, micro-aziende nate per iniziativa di ricercatori pubblici».
Ma la partita si gioca anche sul tempo. «Tutti questi strumenti - afferma - dovrebbero essere, oltre che gestiti da operatori professionisti esperti del capitale di rischio, utilizzati entro e non oltre un anno dalla domanda di brevetto». Dunque ancora tanta strada da fare per una corsa che è appena all’inizio. «Invece di discutere come cambiare una norma che ha prodotto innovazione, bisogna completare il circuito virtuoso che ha innescato - spiega il professore. Va affrontato il problema del finanziamento dei brevetti, stabilita una quota fissa per gli inventori, stanziato un fondo brevetti nazionale per sostenere enti ed università nella fase più costosa della brevettazione e cioè quando il brevetto viene depositato nei singoli paesi. La legge Tremonti - conclude - ha posto solide fondamenta.

Adesso bisogna costruire il palazzo».

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