"Il mio cuore è malato, ma che risate"

Kim Rossi Stuart, protagonista dell’ultimo film dell’Archibugi, la storia di un’amicizia nata per caso in ospedale: "E' il dramma di un uomo semplice che mi somiglia molto per come ama il lavoro e la famiglia"

"Il mio cuore è malato, ma che risate"

Roma - Alto, magro, introverso, giacca di velluto su jeans e camicia a righe, Kim Rossi Stuart, classe 1969, teorizza con voce quieta: «Le cose tragiche che accadono nella vita talvolta si rivelano salutari schiaffi zen. Ti aiutano a crescere». L’attore allude al personaggio che interpreta in Questione di cuore, il carrozziere Angelo, «un misto di Brando e Sordi», felicemente sposato, due figli, un terzo in arrivo, titolare di un bel conto in banca messo insieme restaurando «in nero» auto d’epoca, all’improvviso azzoppato da un infarto. Ma chissà che non si riferisca, un po’, anche a se stesso. Nell’ottobre 2005 un incidente di moto gli provocò la frattura di entrambe le gambe, con interventi vari; e nel luglio del 2008, a bordo del suo gommone, dalle parti di Civitavecchia, investì un pescatore subacqueo, causandogli l’amputazione di un braccio. Due esperienze che lasciano il segno.

Il titolo del film, diretto da Francesca Archibugi, nelle sale dal 17 aprile, va preso alla lettera. Niente metafore dell’amore: il cuore in questione è proprio l’organo che manda in circolo il sangue. Tratto da un romanzo toccante e impietoso, in buona misura autobiografico, di Umberto Contarello, Questione di cuore racconta la redenzione di uno sceneggiatore dalla vita sentimentale caotica, a un punto morto della carriera, piegato da un infarto che gli addenta il torace come «il morso di una carpa sdentata». In sala di rianimazione l’incontenibile Alberto, incarnato da Antonio Albanese, incontra il taciturno Angelo, pure lui col cuore malandato. Sembrerebbero due mondi destinati a non incontrarsi, e invece, nel riaffacciarsi alla vita «normale», i due compagni di sventura scelgono di superare insieme la paura, diventando amici, con esiti imprevedibili. Uno dei due, il carrozziere ex borgataro, non ce la farà.

Ma perché la fanno morire così spesso al cinema?
«Già, non ci avevo pensato. Qui, nel Disco del mondo, anche in Romanzo criminale, ma lì ne squarticchio parecchi prima di farmi ammazzare. Eppure, non ci crederà, io ho sempre visto Questione di cuore come una commedia, piena di affondi ironici, anche divertente».

Dice davvero?
«Sì. Ho provato a spingere in quella direzione, fin dove era possibile, senza negare il sottotesto malinconico della storia. Tutta la prima parte, quella in ospedale, è una specie di partitura musicale a due. Io e Albanese eravamo molto emozionati all’inizio, come capita quando pensi di avere per le mani qualcosa di importante. E l’emozione, per un attore, è sempre un buon propulsore».

Dicono che lei di solito proceda «per sottrazione». La sua è una recitazione sottotono, anche nelle scene più tese o drammatiche.
«La sottrazione è una tecnica che ti salva sempre. Ma direi che stavolta mi sono lasciato andare. M’era capitato pure disegnando Lucignolo per Benigni. La voce di Angelo, così caratterizzata sul versante dialettale, è uscita da sé, naturalmente. Con lui ho tentato di fare quel che Verdone faceva coi suoi personaggi presi dalla vita, all’inizio della carriera».

Come descriverebbe lei Angelo?
«È una persona semplice, elementare, ogni tanto riemerge la sua natura fanciullesca, e tuttavia conduce una vita regolare accanto ai figli e alla moglie Rossana. Tutto il contrario di Alberto, che beve, fuma, stramangia, ama il disordine, detesta i bambini».

Vedendo il film, quasi si prova più simpatia per il meccanico Angelo che per lo sceneggiatore Alberto...
«Dipende. Direi che, intelligentemente, lo sguardo è bilanciato. Sono buoni e cattivi nello stesso tempo. Posso però confessare che, per quanto riguarda Angelo, c’è molta robbetta che viene da me. Mi piace la cura con cui fa il proprio lavoro e difende la famiglia, anche al punto, per scrupolo protettivo, di mettere moglie e figli tra le braccia di Alberto. Più si invecchia, più conta l’amicizia. Insieme all’amore per la donna che ti sta accanto. Credo abbia ragione Contarello quando dice che, al di là dei mestieri che fanno e dei mondi dai quali provengono, Angelo e Alberto sono come due fratelli che si sono ritrovati. L’“ingrippamento”, insomma l’infarto, dice cose diverse a entrambi, ma in fondo sono due lavoratori dell’esistenza, simili se non limitrofi. Anch’io come Alberto ambisco alla semplicità. E la storia di Questione di cuore la puoi raccontare in poche parole: due uomini hanno un infarto, s’incontrano in ospedale e diventano grandi amici».

Ci ha preso

gusto a far sorridere?
«Un po’. Il 10 maggio comincio a girare la nuova commedia di Paolo Virzì, La prima cosa bella. Di nuovo accanto a Micaela Ramazzotti. Solo che stavolta sarà mia madre, non mia moglie».

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