Mirafiori, battaglia all’ultimo voto Il mistero delle schede scomparse

nostro inviato a Torino

Il colpo di scena, che potrebbe portare a notte fonda alla invalidazione delle votazioni, con il ricorso a nuove consultazioni, arriva poco dopo le 23,30 quando è in corso lo spoglio delle schede nel secondo seggio. A prevalere, come nel primo spoglio, è ancora il «no», sempre di misura. Ma il giallo è in agguato perché qualcuno, fatti bene i conti, si accorge che all’appello mancano 58 schede. È il caos. C’è chi vuole invalidare subito il referendum: le schede sembrano essere svanite nel nulla. Sale ancora la tensione.
La commissione elettorale si riunisce e raggiunge un accordo: lo spoglio va avanti ma resta congelato l’esito del seggio numero 2 (montaggio), come quello numero 1 di matrice «rossa», quindi vicino alla Fiom. Il dato, eccetto le 58 schede fantasma, ha visto vincere il «no» con 444 voti, al «sì» ne sono andati invece 362. Unendo i primi due seggi, alle 24, il dato complessivo dava al «no» quasi il 54% e al «si» il restante 46%. Le operazioni sono proseguire a lungo, non sfuggendo - giallo a parte - ai lenti rituali del sindacato.
Lo scrutinio del referendum sull’accordo di Natale segue in pratica le consolidate liturgie fatte di accelerazioni e frenate, aperture e chiusure, momenti di tensione seguiti da pause di riflessione. Le nove urne allestite nei reparti delle Carrozzerie chiudono alle 19,30 ma non vengono aperte alle 19,31. Gli scatoloni con il prezioso contenuto devono essere trasportati in un unico salone. Deve essere insediata la commissione elettorale. Va conteggiato con precisione il numero dei votanti. Dev’essere vagliata con cura la regolarità delle operazioni di voto, svoltesi su tre turni.
Come è prassi per le trattative sindacali, che immancabilmente si chiudono con una firma «a tarda notte», anche il risultato del referendum di Mirafiori si conoscerà quando davanti ai cancelli della fabbrica la temperatura sarà di qualche grado sottozero.
Le prime schede estratte dalle urne, quelle del reparto montaggio (paraurti e officine varie), storicamente «rosso», registrano il successo del «no» con il 55 per cento. Ma il dato del seggio è poco indicativo. O meglio, in un reparto vicino alla Fiom-Cgil, il 45% del «sì» è considerato indicattivo. Nel pomeriggio le previsioni scommettevano su una vittoria dei «sì» all’accordo. Un elemento sopra tutti avvalora questa ipotesi: l'altissima partecipazione al voto. Le schede nelle urne sono state 5.213, quasi il 96 per cento degli aventi diritto e il 99 per cento dei lavoratori presenti. Storicamente, nelle elezioni per le rappresentanze sindacali unitarie a Mirafiori, maggiore è l’affluenza alle urne e più forte è l’affermazione dei sindacati moderati, quelli che hanno sottoscritto il patto con Sergio Marchionne. Le sigle favorevoli (Fim-Cisl, Uilm, Fismic, Ugl) sono ottimiste: a Pomigliano l’affluenza era stata inferiore, sia pure di poco, e i «sì» avevano prevalso nettamente, benché con percentuali inferiori alle previsioni.
In corso Tazzoli, davanti alla porta 2, il clima è tutt’altro. Il principale ingresso alla fabbrica è da giorni presidiato dai sindacati oltranzisti, Fiom e Cobas, rafforzati dai centri sociali. Camper, bandiere rosse, striscioni, capannelli in favore di telecamere, pattuglie di iscritti pronti a sostenere le ragioni del «no» davanti ai microfoni, in modo da fare pressione sulle tute blu che la pensano diversamente. C’è chi parla di «terrorismo psicologico»: la potenza mediatica delle federazioni estreme appare inversamente proporzionale alla loro rappresentanza reale tra i lavoratori.
Le urne erano state aperte l’altra sera per il turno di notte, il primo dei tre, con un seggio unico. All’uscita dai vari turni, la maggioranza degli operai di Mirafiori ha preferito evitare commenti. I pochi che accettano di scambiare qualche parola con i giornalisti raccontano di una scelta «molto difficile».

«Non possiamo cancellare con le nostre mani decine di anni di conquiste e di diritti, sanciti dalle leggi e anche dalla Costituzione», dicono quelli del «no». «Mi manca poco alla pensione, ho votato sì per salvaguardare il posto di lavoro, mio e di tutti», dice una donna, e un collega le fa eco: «Solo cambiando possiamo attirare investimenti a Mirafiori e in Italia».

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