La pace generale permanente è oggi un obiettivo storicamente maturo e quindi realisticamente perseguibile. Riguardo alla guerra vale ora ciò che valse agli inizi del secolo XIX a proposito della schiavitù legale: non è più un male inevitabile, e quindi non può più essere tollerata. Fra i grandi attori dell'età contemporanea nessuno è tanto consapevole di questa possibilità quanto i Papi di Roma, che sono tenacemente e realisticamente impegnati ad attuarla sin dal celebre appello inviato il 1° agosto 1917 da Benedetto XV «ai Capi dei popoli belligeranti». L'appello - accolto dal solo Carlo d'Asburgo, l'ultimo imperatore d'Austria - con cui quel Pontefice stigmatizzava «l'inutile strage» e proponeva l'apertura di negoziati in vista della fine del primo conflitto mondiale. In tale prospettiva il messaggio pontificio per la Giornata mondiale della pace, celebrata il primo giorno di ogni anno, emerge con chiarezza nient'affatto quale dichiarazione di rituali buoni sentimenti bensì come sviluppo di un pensiero che in sede internazionale meriterebbe anche perciò la più grande attenzione.
Il messaggio per la Giornata del 2006, «Nella verità, la pace», il primo del nuovo papa Benedetto XVI, è ancora una volta testimonianza della sua grande capacità di giungere con tranquillo acume al nocciolo delle questioni. Nel documento Benedetto XVI prende in sostanza per le corna un tipico luogo comune della cultura corrente contemporanea, quello secondo cui le fedi religiose e in genere i fermi convincimenti sono un seme di guerra, e quindi la pace si può costruire soltanto nella misura in cui il relativismo e il nichilismo si generalizzano. Insomma sull'idea che ci si mette più facilmente d'accordo se non si è mai certi di nulla. Al contrario, scrive Benedetto XVI, per costruire la pace «Occorre ricuperare la consapevolezza di essere accomunati da uno stesso destino, in ultima istanza trascendente, per poter valorizzare al meglio le proprie differenze storiche e culturali, senza contrapporsi ma coordinandosi con gli appartenenti alle altre culture». La base del dialogo, e quindi della pace, è pertanto il comune destino umano, e non il persistere né tanto meno il diffondersi di quello che i filosofi chiamano «dubbio esistenziale». Bene si comprende allora il titolo del Messaggio, con cui il Papa intende sottolineare che «dove e quando l'uomo si lascia illuminare dallo splendore della verità, intraprende quasi naturalmente il cammino della pace».
In tal senso viene messa in evidenza la comune radice dei due attuali motori del terrorismo, ossia il nichilismo da un lato e il fanatismo religioso, o fondamentalismo, dall'altro. «Pur avendo origini differenti e pur essendo manifestazioni che si inscrivono in contesti culturali diversi, il nichilismo e il fondamentalismo», si legge nel Messaggio, «si trovano accomunati da un pericoloso disprezzo per l'uomo e per la sua vita e, in ultima analisi, per Dio stesso (...)».
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