Primeggiano nel mondo della musica classica, pur con nordica discrezione. Sono cresciuti in unisola felice, là dove compositori e direttori nascono a getto continuo e le sale da concerto non avvertono il calo di pubblico che fiacca lEuropa mediterranea. Sono gli artisti del «Profondo Nord», figli di una terra, la Finlandia, dove il numero di direttori dorchestra, rapportato al numero di abitanti (daccordo, pochi), risulta essere il più alto del globo. Lelite delle bacchette internazionali conta parecchi nomi finlandesi: Esa-PekkaSalonen, Mikko Frank, Sakari Oramo, Osmo Vanska. Lista dove spicca il nome di Jukka-Pekka Saraste, anche lui cresciuto nella speciale serra di Jorma Panula, per trentanni insegnante allAccademia Sibelius di Helsinki, e ora impegnato in masterclass in tutto il mondo, Italia compresa (Fiesole e Verona). Saraste ritorna a Milano, stasera (ore 21) in Conservatorio, ospite del festival MiTo, sul podio dellOrchestra Filarmonica di Helsinki: unoccasione per valutare se la fama delle bacchette finlandesi si allarga anche ai complessi. Nikolai Lugansky, pianista fra i più interessanti in circolazione, moscovita, siede alla tastiera per il Secondo Concerto di Rachmaninov.
In programma autori dellEst Europa: Rachmaninov, Musorsgkij, Bartok, e il francese Ravel. Saraste, classe 1956, è uno degli allievi pupillo di Panula che ricorda il suo ex studente come un artista costruttivo e dallanimo profondamente finlandese, dunque «diligente e con una buona dose di sisu», termine finnico che sta per forza interiore. Una forza che ha condotto Panula regolarmente alla testa di orchestre di casa propria, ovvero della Radio Finlandese (dal 1987 al 2001), e del Canada (della Sinfonica Toronto dal 1994 al 2001). Saraste invece, dopo una fase spesa nei panni di free-lance in giro per il mondo, ma con linvito a direttore ospite della BBC Symphony Orchestra di Londra, nel 2006 ha accettato la nomina a direttore della Oslo Philharmonic Orchestra. Al suo fianco, stasera, cè Lugansky, il pianista russo venuto alla ribalta anzitutto grazie a Rachmaninov. Un Rachmaninov fatto di canti e di controcanti che sbucano dai punti più inaspettati. Si avverte una tensione sotterranea alla ricerca di una via di sfogo e una volta trovata, è un uragano di accordi pensati (e risolti) da mani extra-large, una scarica elettrica di ottave, infilate una dietro laltra con uguale potenza da mignoli dacciaio. E lo spettatore è certo intrigato dal Rachmaninov di Lugansky, un Rachmaninov dalle due anime, opposte e complementari: di qua, uno spirito cartesiano che nulla lascia al caso; di là, energia allo stato puro, pagana. Così Lugansky ha conquistato pubblico e critica. E la casa discografica Warner, che subito pubblicò le interpretazioni dei concerti di Rachmaninov (diretti dal finlandese Sakari Oramo). Le sue sono letture di geometrica chiarezza. Lugansky, dunque, ha fatto proprie - e ora declina artisticamente - le propensioni di una famiglia di uomini di scienza, composta da una madre chimico (originaria del Tajikistan) e padre fisico (cresciuto in una cittadina a duecento chilometri a sud di Mosca). In realtà, confessa Lugansky, «ho sempre amato la matematica e le scienze, avevo ottimi voti, mi affascinava sentire le spiegazioni di fisica di mio padre, ma la mia strada era unaltra».
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