La moda dello sport per tutti finisce sotto esame: fa male?

La morte in bicicletta dell’imprenditore spaventa. I medici rassicurano: "Episodi rari". Ma anche chi si tiene in forma deve fare controlli al cuore

La moda dello sport per tutti finisce sotto esame: fa male?

Ha strappato il palcoscenico agli eventi sportivi e pure a quelli politici. Nei bar o davanti le scuole la domanda che circola è sempre la stessa. Come si può morire nel pieno della vita e per di più in sella ad una bicicletta? Forse Pietro Ferrero aveva qualche problema al cuore di cui lui stesso non si era mai accorto (si ricorda in questi giorni che suo nonno morì di infarto)? Oppure un grosso sforzo può provocare il collasso anche a chi ha ancora l’età? O peggio, lo sport può far male? «Questi decessi improvvisi sono eventi rari e probabilmente si tratta quasi sempre di una patologia non diagnosticata legata al cuore, che non viene rilevata da un semplice cardiogramma - spiega l’epidemiologo Marco Giustini - Insomma, soprattutto tra i giovani è sottesa una patologia cardiaca».

Dunque di sport non si muore quasi mai. Ma fece notizia il decesso improvviso Tommy Simpson, il ciclista che morì drammaticamente nel 1967 durante una tappa del Tour de France. Lui faceva uso di anfetamine, però, che legate al caldo e allo sforzo, gli causarono il crollo fatale. Gli appassionati delle due ruote non corrono ovviamente gli stessi rischi. Al massimo cadono. E a volte si distruggono. Giustini, che ha elaborato una statistica dettagliata sugli sport più rischiosi praticati in Italia, ci offre dei numeri: «Circa 10mila persone all’anno si fanno male con la bici. Gli infortuni sono causati dalle cadute che coinvolgono la testa quando non è protetta dal casco, ma soprattutto la scapola, il polso e le mani». In un anno, su 17 milioni di sportivi (contro i 23 milioni e 300mila sedentari) ben 300mila finiscono ko. Cadono, si fratturano, si lesionano, si lussano un arto o riportano escoriazioni. E la disciplina principe per questi traumi è il calcio, che interessa la metà degli infortunati. A seguire, con circa il 10% degli incidenti, si piazzano la pallavolo e la pallacanestro che a volte procurano distorsioni agli arti inferiori. Poi spunta la bicicletta con le sue cadute (le più pericolose sono al cranio), lo sci con le distorsioni o le fratture alle gambe. Segue lo snowboard dove le rotture traslocano agli arti superiori. Non si salva neppure il fitness, che può causare strappi muscolari e ossa rotte.

Allora non ci resta che correre, si può pensare. E in effetti sembrerebbe l’attività meno rischiosa, se si escludono fitte dolorose a caviglie e ginocchia. «Questi infortuni sono per il 70% da codice bianco, per il 27% da codice verde, solo il 3% sono da codice rosso, cioè gravi» precisa l’epidemiologo. In pratica, solo 15mila persone finiscono in corsia con una durata media di prognosi di dieci giorni. Intendiamoci, lo sport non fa solo male. Solo le esagerazioni stonano, sempre e comunque. Vi ricordate qualche anno fa? Chi non seguiva un corso di aerobica era considerato un mollusco. La moda scoppiata negli Usa aveva contagiato l’intero pianeta e tutti a correre e saltare. Poi ci sono stati i primi distinguo e ora ci si accorge che l’eccessiva attività fisica crea effetti negativi. Oppure, semplicemente, non produce alcun beneficio. James Timmons, del Royal Veterinary College della capitale britannica, sostiene che circa un 20% della popolazione non trae alcun significativo beneficio dal jogging o dalla palestra per la prevenzione delle malattie cardiovascolari e del diabete.

Meno drastico Luigi Simonetto, specialista in Medicina dello sport e responsabile del nuovo centro del San Raffaele di Milano. «Lo sport fa bene, ma deve essere praticato con criteri correlati allo status biologico del soggetto». In pratica, se una persona è sana deve seguire le regole di quella disciplina con buon senso. Diverso il caso di una persona con qualche problemino.

«Se abbiamo di fronte un soggetto con pressione o trigliceridi alti, la glicemia ballerina, bè, allora serve un’attività personalizzata». In ogni caso, Simonetto raccomanda oltre a quelli di routine, anche controlli approfonditi per due fasce di età. «Un ecocardiogramma ai giovani di 17-18 anni e agli ultracinquantenni, anche se da sempre sportivi».

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