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Modello Beirut per Bagdad

Quella della nuova Costituzione irachena rischia di diventare una storia infinita per molti motivi, ma tra gli altri ce n’è uno forse sin qui non abbastanza considerato: la profonda incongruenza del modello federale - suggerito se non imposto, dagli esperti occidentali al lavoro al fianco dei costituenti iracheni - con la realtà socio-politica non solo dell’Irak in particolare ma anche del mondo arabo in generale. Nel mondo arabo non ci sono ancora le condizioni che rendono possibile l’applicazione positiva di tale modello. A meno che gli Usa e le altre potenze occidentali non restino sul posto sine die per tenerlo insieme a viva forza (ma non è questa ovviamente una prospettiva augurabile) in Irak il federalismo finirà fatalmente per essere l’anticamera dello sgretolamento del Paese, con conseguenze gravi per l’intero Vicino Oriente.
L’insistenza su un medesimo territorio di poteri sovrani, rispettivamente territoriali e federali, diversi ma non opposti, in Irak è un principio non solo estraneo ma anche incomprensibile. Inoltre ormai in Irak le tre etnie non risultano più separate territorialmente come erano un tempo. Ci sono per esempio grosse minoranze sciite a Bagdad e grosse minoranze sunnite a Bassora. Nel Nord la città di Kirkuk, storicamente curda, ha una popolazione ormai per lo più araba. La formazione di tre territori federati definiti su base etnica darà la stura a delicati problemi di tutela delle varie minoranze. Piuttosto che al modello federalista occidentale i costituenti iracheni avrebbero fatto meglio a guardare all’unica democrazia (pur relativa) da tempo funzionante nel mondo arabo, quella del Libano.
Paese ancor più eterogeneo dell’Irak, il Libano si fonda su un sistema che garantisce, all’interno dello Stato unitario, la rappresentanza nelle istituzioni di tutti i gruppi etno-religiosi: il presidente della Repubblica deve essere un cristiano maronita, il premier un musulmano sunnita, il presidente del Parlamento un musulmano sciita e così via. Grazie a questo meccanismo si arriva necessariamente a una forma di governo concertata che non trasforma mai una sconfitta elettorale in un’esclusione dal governo di questo o di quel gruppo etno-religioso.
E nemmeno si pone il problema, divenuto invece così arduo in Irak, della ripartizione di risorse territorialmente vincolate come innanzitutto il petrolio. La trasposizione di un modello istituzionale da un Paese all’altro è beninteso sempre difficile, ma senza dubbio la formula libanese è qualcosa di molto più vicino all’Irak del federalismo americano, tedesco o svizzero. La bozza di nuova Costituzione irachena ha certamente il merito di fissare principi, come per esempio quello dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, che sono molto importanti e promettenti per il futuro dell’Irak.

Tutto questo rischia però di diventare vano se non si risolve a monte il problema della forma dello Stato.

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