Il cacciatore di nazisti: "A processo anche i civili"

La battaglia di Jens Rommel: trovare uno a uno anche chi ha contribuito in modo indiretto all'Olocausto, come chi lavorava nei lager

Il cacciatore di nazisti: "A processo anche i civili"

Da Ludwigsburg – È una lotta contro il tempo, quella di Jens Rommel, il più famoso cacciatore di nazisti della Germania. Scovare gli ultimi criminali del Terzo Reich ancora vivi, farli processare e condannare prima che sia troppo tardi. Ma è anche una sfida più grande e ambiziosa la sua: estendere l’idea di responsabilità per i crimini nazisti anche ai gradi più bassi dell’amministrazione. Non più solo militari, gente che ha dato ordine di uccidere. Anche una semplice telefonista di un lager deve essere ritenuta responsabile, secondo la linea portata avanti da Rommel. Un’idea che, si affermasse, potrebbe cambiare per sempre – da un punto di vista giuridico e morale – il nostro modo di considerare i genocidi.

Jens Rommel è una persona cortese e affabile, ma dietro i suoi tratti bonari nasconde una volontà fuori dal comune e una visione ben precisa del suo compito, dell’importanza che riveste. Lo incontro una mattina nel suo ufficio a Ludwigsburg, città nei pressi di Stoccarda nota per la sua architettura barocca. Qui ha sede l’Ufficio centrale per le indagini dei crimini nazionalsocialisti, da lui diretto.

Iniziamo dagli otto nuovi casi che ha scoperto di recente.

In questi anni abbiamo indagato sui campi di concentramento, partendo dal caso di Demjanjuk, che ha lavorato nel lager di Sobibor ed è stato condannato nel 2011. In seguito abbiamo rivolto la nostra attenzione ai lager di Auschwitz e Majdanek. Dal 2013 abbiamo consegnato quasi 60 casi all’ufficio del pubblico ministero, qui in Germania. Quindi, da Auschwitz abbiamo diretto le nostre indagini verso altri campi di concentramento, e uno di questi era Stutthof, in Polonia.

Per quest’ultimo abbiamo potuto dimostrare che ci furono uccisioni sistematiche. Nell’estate e autunno del 1944 migliaia di prigionieri ebrei furono sterminati a Stutthof nelle camere a gas o con un colpo alla nuca. Questo il caso in sé. Abbiamo proseguito facendo ricerche sul personale che ha lavorato a Stutthof in quel periodo. Abbiamo passato in rassegna moltissimi nomi. Molti di loro erano purtroppo già morti, ma abbiamo trovato otto persone ancora vive, quattro uomini e quattro donne. Secondo le nostre indagini, i quattro uomini prestarono servizio come guardie delle SS nel campo e le donne lavorarono con diversi ruoli nell’amministrazione.

Perché è importante secondo lei processare anche personale non militare, dei semplici assistenti?

Vi è un problema legale. Oggi non possiamo provare che un individuo in un certo giorno contribuì a un crimine specifico, premendo il grilletto o inserendo il gas. Quello che possiamo provare è che una persona ebbe una determinata funzione all’interno del sistema del lager. La questione legale sta proprio qui: questo è sufficiente per essere ritenuti responsabili, non da un punto di vista morale, dico, ma da una prospettiva penale? Si è colpevoli anche se non si ha preso parte a un atto concreto, ma solo svolgendo il proprio compito in un lager?

Penso che in un periodo in cui avvenivano uccisioni sistematiche, si debba essere ritenuti responsabili – in un certo modo – anche solo a causa della funzione svolta. Tornando agli otto casi di prima, ciò è più semplice da dimostrare per le guardie, che erano a stretto contatto con i prigionieri e che avevano il compito di non farli fuggire. È più difficile, invece, quando si prende in esame assistenti e impiegati amministrativi. Eppure, quando si trasmetteva un’informazione, quando arrivava un treno di prigionieri, subentrava tutto l’aspetto organizzativo dello sterminio. Così, è difficile distinguere e tracciare una linea di divisione netta.

Noi siamo un’agenzia che svolge indagini preliminari, e non vogliamo escludere questi casi. Li abbiamo passati all’ufficio del pubblico ministero e saranno loro a decidere se ci sono abbastanza elementi per attribuire una responsabilità penale. Un altro aspetto importante, da un punto di vista legale, è che non vi è prescrizione per l’omicidio. Fino alla fine della sua vita, una persona può essere condannata. Abbiamo quindi l’obbligo di processarli se ci sono dei sospetti.

Ma credo ci sia di più. Questi crimini sono stati organizzati dallo stato tedesco di allora. Credo che ci sia un obbligo morale e politico per la Germania di oggi nel perseguire questi casi. Non se ne devono occupare solo gli storici, ma anche le corti e la giustizia. In questo modo, inoltre, le vittime e gli accusati racconteranno le loro storie e questi crimini non saranno dimenticati.

Nella sua ‘Storia della Shoah’ lo storico Bensoussan afferma che un milione di tedeschi furono coinvolti direttamente o indirettamente nello sterminio degli ebrei. Perché solo oggi, dopo tanti anni, si pone la questione di processare semplici complici e assistenti coinvolti in quei crimini?

Questa è la domanda più difficile a cui rispondere. Sono a capo di questo ufficio di investigazione dallo scorso ottobre e non posso risponderle in modo preciso. Si tratta comunque di una questione legale. Può essere ritenuto responsabile qualcuno che contribuì in modo indiretto a questi crimini? Dopo la guerra, l’approccio in Germania fu di guardare in modo individuale a questi casi: qual è il ruolo svolto da una singola persona? Ha partecipato o meno a un determinato omicidio? Questo era impossibile da accertare in moltissimi casi.

Credo che si debba affrontare questi omicidi di massa in un modo diverso. Dobbiamo realizzare che moltissime persone, centinaia di migliaia, erano coinvolte e dobbiamo stabilire chi ha fatto cosa, quale parte hanno svolto in tutto questo. Credo sia ancora un lavoro in progress, all’interno del sistema legale tedesco, cercare di affrontare questi casi. Non possiamo riferirci a una nozione di crimine contro l’umanità o genocidio, perché non era una legge scritta al tempo in cui questi crimini avvennero, e abbiamo quindi a che fare con il codice penale tedesco come avviene per un caso ordinario.

Da una parte si ha una cornice legale consueta e dall’altra questi crimini di massa, e il compito di mettere in relazione questi due punti così diversi è davvero difficile. Si tratta di un’evoluzione all’interno del sistema legale, e stiamo aspettando una risposta dalla corte suprema in Germania per decidere se questo nuovo approccio legale è corretto.

Non c’è quindi alcun precedente di civili condannati per un contributo indiretto all’Olocausto?

No, non ci sono ancora precedenti. C’è una donna accusata di essere stata la telefonista al campo di concentramento di Auschwitz, ma proprio pochi giorni fa siamo stati informati che non è nelle condizioni mentali di affrontare il processo, quindi non avremo un precedente. C’è poi un appello in corso per il caso Groening, accusato di essere una guardia delle SS a Lunenburg, ma ancora non sappiamo cosa deciderà la corte.

Sta provando a forzare la cornice legale, quindi, muovendo verso una direzione inedita.

Si tratta di un doppio approccio. Partendo da campi di sterminio come Sobibor, siamo passati a campi con diverse funzioni – non solo di sterminio, ma anche di lavoro – come Auschwitz e Majdanek. Quindi siamo passati a campi come Stutthof, dove solo in un determinato periodo avvennero degli omicidi di massa. L’approccio personale consiste invece nel passare da individui coinvolti direttamente nei crimini in questione alle guardie, ed ora anche al personale con altre funzioni. E la questione legale è fino a che punto ci si possa spingere in queste direzione. Questa è la parte più appassionante del mio lavoro.

Cosa significa dare la caccia a criminali di una generazione che sta scomparendo? Molti responsabili di questi crimini sono morti, altri molto anziani.

Se vede le foto del signor Groening, o di altri imputati, vedrà un uomo molto anziano che arriva al processo quasi incapace di camminare da solo. La domanda che si fanno in molti è la seguente: è davvero necessario portare a processo un vecchio 70 anni dopo la guerra?

C’è una riposta legale. Dobbiamo affrontare questi casi perché è nostro dovere farlo, e credo sia ancora importante. Ma ci sono molti problemi e ostacoli. Moltissimi sospetti sono morti, circa il 95% dei nomi in cui ci imbattiamo nel nostro lavoro. Ma anche i sopravvissuti e i testimoni sono spesso morti o incapaci di affrontare il processo. Ed è così molto difficile stabilire da un punto di vista legale cosa è avvenuto. Siamo passati quindi dal ricorrere a testimoni diretti al consultare storici militari che ci riferiscano quanto avvenuto a Auschwitz o a Stutthof.

Ma per i singoli casi è molto difficile stabilire quanto avvenuto. Inoltre, l’accusato deve essere ancora vivo – non possiamo avere processi in absentia contro una persona scomparsa – e deve essere in condizioni di salute abbastanza buone da poter essere interrogato e affrontare il processo. Questi sono i problemi che affrontiamo. Ma d’altra parte, in una cornice di legalità, si deve anche tenere conto dei diritti dell’accusato.

Quali sono i suoi progetti per il futuro, tenendo conto anche del fattore tempo. Per quanto tempo potrà proseguire in questo lavoro?

I 16 ministri della giustizia dei rispettivi Länder hanno deciso lo scorso anno che dobbiamo continuare nel nostro lavoro. Ritengono che sia importante e che ci siano ancora possibilità di identificare sospetti o anche di arrivare a verdetti. Il ministero della giustizia qui nel Baden-Württemberg ha stimato che abbiamo ancora dieci anni di lavoro davanti a noi, quindi, passato un anno, ce ne restano ancora nove.

Continueremo a indagare su campi di concentramento come Stutthof, Auschwitz e Majdanek, e ora abbiamo allargato il cerchio lavorando su altri campi come Bergen-Belsen e Neuengamme, ma andremo oltre investigano unità organizzate dove sappiamo che avvennero omicidi sistematici.

Dobbiamo però aspettare l’appello del caso Groening, già ricordato, per capire se il nostro approccio legale è corretto, se possiamo proseguire cioè nella nostra idea di ritenere responsabili anche coloro che non hanno partecipato direttamente allo sterminio.

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