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Il Duemila era il futuro, è diventato una ragnatela di sfiducia. E la paura ha intaccato anche la politica

Il Duemila era il futuro, è diventato una ragnatela di sfiducia. E la paura ha intaccato anche la politica

Così dopo l'Apocalisse abbiamo sacrificato la libertà alla sicurezza

Non riesci neppure a contarli i giorni. Davvero è passato tutto questo tempo? Venti anni e quasi non ci credi. Nessuno può essere lo stesso di allora. Le immagini che restano lì per sempre, come un attimo di apocalisse, con il primo aereo che decapita la torre nord e non sai che cosa stia accadendo, se quello che vedi è reale o solo una strana finzione che si ripete in tutti gli schermi del mondo e poi ancora, con solo il tempo di stupirti, l'United Airlines 175 che trancia poco più su della base la torre sud e allora sai che non è un gioco, ma qualcosa di terribile, mai visto, sta accadendo, con il fumo che oscura Manhattan e i corpi che piovono giù come manichini e le Twin Towers che in un'ora e 42 minuti si sfarinano e vanno giù come due cerini carbonizzati. Resterà uno spazio vuoto come luogo della memoria e i nomi delle 2977 vittime. L'11 settembre 2001 è la data che cambia la storia. L'America non si è mai sentita così fragile. È di fatto la fine dell'impero a stelle e strisce. Gli Stati Uniti si ritirano in se stessi, riportando la bandiera a casa. È l'immagine che ci lascia uno scrittore visionario come David Foster Wallace, che racconta la tragedia vista dalla periferia, da una cittadina del Midwest. «Tutti hanno esposto la bandiera. Case, negozi. Bandierone, bandierine, bandiere delle normali dimensioni di una bandiera. Un sacco di case da queste parti hanno quelle speciali aste inclinate accanto alla porta d'ingresso, di quelle che per fissare il supporto servono quattro viti belle grosse. E migliaia di quelle bandierine-su-bastoncini che si vedono in mano alla gente durante le parate: in certi giardini se ne contano a decine, dappertutto, come se fossero spuntate durante la notte. Quelli che vivono sulle strade di campagna attaccano le bandiere alle cassette della posta sul bordo della carreggiata. Certe macchine le portano infilate nella griglia del radiatore o attaccate all'antenna con lo scotch. Certi raffinati hanno veri e propri pali per l'alzabandiera; le loro bandiere pendono a mezz' asta. Parecchie ville intorno a Franklin Park o alla periferia est hanno enormi bandiere multipiano che scendono a mo' di gonfalone per tutta la facciata».

L'America si ritira e quello che resta è un mondo senza pace. È così che la paura entra come un rumore bianco nella vita quotidiana della civiltà occidentale. Rudy Giuliani, allora sindaco di New York, racconta il momento in cui quel sentirsi inerme si è insinuata nella mente di ognuno di noi e non se ne è più andata. «Sentii che qualcuno mi afferrava e mi trascinava via, obbligandomi a correre come si fa con gli animali o i cavalli: andiamo via. Avremo corso per circa un terzo di isolato, e io non sapevo nemmeno cosa stesse succedendo. Mentre mi trascinava via gli dissi di fermarsi. Ci girammo e vidi un'immensa nube salire dal cratere. Sembrava davvero un attacco nucleare».

La paura, la paura cambia tutto, spazza via il Novecento e ti porta a sentire l'altro, il prossimo, come un'insidia. Tutto ciò che non conosci è una minaccia. L'unica salvezza è il controllo, capillare, profondo, rabdomantico, giustificato. Il Duemila doveva essere il futuro e invece ci ha stretto in una ragnatela di sfiducia. L'unica preoccupazione è non lasciarsi sorprendere dall'inatteso. Il controllo si prende il centro della scena. La politica promette sicurezza ed è quello che alla fine tutti pretendono. La sicurezza come valore fondante, non solo nei confronti di un nemico più o meno invisibile, ma sicurezza verso ogni minaccia che può arrivare dal solo fatto di essere vivi. È la garanzia, chiesta allo Stato, di raggiungere il rischio zero, quasi a sfidare la certezza della morte. La sicurezza che finisce per mettere fuori legge l'imprevisto della vita. La sicurezza come tempo sospeso dove nulla deve mutare. È il sogno disumano della fine della storia. Ci sono le premesse per la distopia di Aldous Huxley. È quello che vede il filosofo pop Bernard-Henri Lévy. «Siamo in un nuovo mondo. Ricordo, non senza una certa nostalgia, quello antico in cui si poteva andare all'aeroporto all'ultimo minuto, beffarsi delle religioni senza rischiare la vita, fare la spesa in un magazzino kasher o, volendo, celebrare una messa in chiesa, entrare in un luogo pubblico senza perquisizione della borsa». È che tutto questo ha un prezzo e non è basso. La sicurezza si paga con una moneta sacra. Si paga con la libertà. I diritti individuali diventano così sacrificabili, per scacciare dagli altri l'incertezza. La tua libertà finisce dove comincia la paura degli altri. È così che si sposta un po' più in là l'architrave della civiltà occidentale. Non è più inalienabile. Non ti appartiene. È in prestito.

La paura corrode anche la democrazia. Se non ti fidi dell'altro non gli riconosci neppure le idee non codificate. Non c'è più spazio per i cani sciolti, ma il diritto di parola è concesso solo al potere o alle masse battezzate come popolo, e non importa se sono solo una minoranza chiassosa e virtuale. La realtà è fuggita, lasciando spazio ai social, dove il prossimo non ha carne e ossa.

È umanità scarnificata e disossata.

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