L'allarme dell'Onu: l'Isis punta sull'Afghanistan

La formazione terroristica è sotto pressione in Iraq, Siria e Libia. Da qui sta cercando un nuovo “safe heaven” dove potersi riorganizzare e addestrare i combattenti

L'allarme dell'Onu: l'Isis punta sull'Afghanistan

L'ultimo obiettivo dell'Isis si chiama Afghanistan. L’Isis sta incrementando la sua presenza in Afghanistan nel tentativo di soppiantare i talebani. Lo apprende il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dopo aver ricevuto alcuni report dai vertici della missione Unama nel paese asiatico. La formazione terroristica è sotto pressione in Iraq, Siria e Libia. Da qui sta cercando un nuovo “safe heaven” dove potersi riorganizzare e addestrare i combattenti per poi spostare la jihad in altre zone, come i paesi dell’Asia centrale. Per far ciò, i leader dell'Isis in Afghanistan hanno avviato contatti con tutti i gruppi islamici nel paese, proponendo loro di unirsi sotto un nuovo comando unico e conquistare il potere detenuto dai talebani. Questi ultimi, infatti, sono accusati di non aver ottenuto in dieci anni di campagna quanto raggiunti dai miliziani in pochi mesi. L’Afghanistan, peraltro, si è rivelato l’unico paese dell’area che ha le condizioni necessarie per lo sviluppo del Califfato. Per quanto riguarda i vicini, in Pakistan i talebani sono troppo radicati al momento. L’Iran è nemico dell’Isis e Turkmenistan, Uzbekistan e Tagichistan hanno influenze russe troppo forti, vedi controlli e repressioni capillari, per permettere una penetrazione e diffusione dello Stato Islamico. L’unico sostegno potrebbe arrivare dalla minoranza degli Uiguri, che però sono fortemente pressati dalle autorità cinesi.

In Afghanistan, invece, ci sono le condizioni ideali per lo sviluppo dell’Isis. Il paese è fortemente frammentato, le forze di sicurezza locali non riescono a controllare tutto il territorio e – talebani a parte – c’è una galassia di gruppi più o meno grandi che si danno battaglia da anni senza riuscire a prevalere sull’altro. Inoltre, c’è una “miniera d’oro” rappresentata dalle coltivazioni di oppio. Controllarle permetterebbe alla formazione di non avere più problemi per quanto riguarda il finanziamento della sua jihad. I miliziani, che negli ultimi mesi hanno cominciato a reclutare affiliati, possono contare anche sul fatto che in tutto il paese ci sono zone che sono rimaste da sempre, anche durante la missione Nato Isaf, terra di nessuno. Come nella regione occidentale, dove è di stanza il contingente italiano impegnato nella missione “Resolute Support” ci sono località simili. Khak e Safid, per esempio, al confine tra La provincia di Herat e quella di Farah. Nonostante tutti gli sforzi nessuno è riuscito mai a mantenerne il controllo. Ed è proprio in questa zona che il Daesh sta organizzando la presenza nella regione, coordinandosi con tutte le formazioni tribali e criminali che vi operano.

Il rischio concreto che il fenomeno possa diffondersi c’è. Tanto che la Russia ha fatto sapere alle Nazioni Unite di essere fortemente preoccupata sulla eventualità che lo Stato islamico estenda le sue attività in Afghanistan e porti l’islam radicale negli altri paesi dell’Asia centrale. A questo proposito, sono stati inviati all’Onu diversi rapporti che confermano il peggioramento della situazione nel nord del paese, in aree che confinano con nazioni amiche e alleate della Russia. A seguito di ciò, il vice ambasciatore russo all’Onu, Vladimir Safronkov, ha chiesto al Consiglio di sicurezza di reagire immediatemente per prevenire la possibile diffusione del fenomeno e destabilizzare la situazione dell’Afghanistan e della sua amministrazione appena eletta. “Gli stati della regione, hanno legittime preoccupazioni su questo rischio. L’ipotesi che l’Afghanistan diventi un paradiso sicuro per i combattenti e gli estremisti dell’Isis è categoricamente inaccettabile”. La minaccia dei talebani, comunque rimane e continua a essere al primo posto. Lo ha confermato l’ambasciatore di Kabul alle Nazioni Unite, Zahir Tanin, il quale ha però confermato le infiltrazioni dell’Isis, grazie anche al fatto che nel paese ci sono gruppi con orientamenti più estremisti rispetto ai talebani.

Il governo afghano ha già cominciato a combattere il Daesh nel paese con alcune azioni militari, di cui l’ultima avvenuta domenica scorsa. In un bombardamento aereo è stato ucciso Hafiz Waheed, un ex leader talebano e signore della guerra che si era avvicinato al Califfato. L’uomo era recentemente succeduto allo zio Abdul Rauf Khadim (ucciso da un drone Usa il mese scorso), nella guida della formazione. Anche gli Stati Uniti si sono resi conto che l’Afghanistan rischia di tornare a essere un problema sotto il punto di vista della sicurezza e hanno deciso di rallentare il rientro in patria del proprio contingente militare. Al momento nel paese sono schierati diecimila soldati, che dovrebbero ridursi a circa cinquemila entro la fine dell’anno e concludere definitivamente la missione entro il 2016, alla fine del secondo mandato presidenziale di Barack Obama.

Questa calendarizzazione, alla luce degli ultimi eventi è divenuta meno certa come allo stesso modo la “kabulizzazione” della missione Resolute Support, cioè lo spostamento delle truppe internazonali dalle attuali aree di responsabilità alla capitale.

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